SIGNORIE E TEATRI

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SIGNORIE E TEATRI

Signorie

Il XIII secolo fu caratterizzato, di nuovo, dalle lotte tra città e città. In ogni città perdurò un'accesa rivalità tra una famiglia guelfa (fedeli al Papa) e una famiglia ghibellina (fedele all'imperatore) Rivalità nelle principali città romagnole (1210-1278) Città Famiglia guelfa ghibellina Ravenna Traversari Anastagi Rimini Gambacerri Parcitadi Cesena Ubertini Mazzolini Forlì Argogliosi Ordelaffi Faenza Manfredi Accarisi Imola Brizzi Mendoli Dopo il 1278 le principali signorie di Romagna furono quelle dei: Da Polenta a Ravenna (guelfi): dal 1275 al 1441; Malatesta a Rimini (guelfi): dal 1295 al 1528 e a Cesena dal 1377 al 1465; Ordelaffi a Forlì (ghibellini): dal 1295 al 1480 e a Cesena dal 1333 al 1347; Manfredi a Faenza (guelfi): dal 1319 al 1509; Alidosi a Imola (guelfi): dal 1292 al 1311 e dal 1334 al 1424. Cervia, invece, era stata occupata dalla Repubblica di Venezia, che si impossessò delle saline ed esercitò il monopolio del sale in tutta la pianura padana e in Toscana.
Gli Ordelaffi furono la famiglia che tenne, con interruzioni, la signoria della città di Forlì tra la fine del secolo XIII e gli inizi del secolo XVI. La famiglia Ordelaffi, comunque, prese il potere nella città di Forlì, roccaforte ghibellina, alla fine del XIII secolo. La signoria, estesa a Castrocaro, a Forlimpopoli e a Cesena, restò nelle loro mani fino al 1359 e di nuovo tra il 1376 e il 1480, con un effimero ritorno nel 1503-1504. Castelli e palazzi - Palazzo comunale di Forlì, esistente già nel XIV secolo e dove la famiglia trasferì la sua dimora nel 1412. Fu in seguito ampiamente rimaneggiato ed è attualmente sede del Municipio. - Palazzo Albicini, che occupa parte delle antiche case degli Ordelaffi, in corso Giuseppe Garibaldi, a Forlì. - Rocca di Ravaldino a Forlì, del XIV secolo. - Rocca di Forlimpopoli, eretta tra il 1380 e il 1400, attuale sede del Museo Archeologico Civico. - Castello di Predappio Alta, sorto nel X secolo e fortificato nel 1471 sotto il dominio di Pino III Ordelaffi. Caterina Sforza Caterina Sforza (Milano, 1463 circa – Firenze, 28 maggio 1509) fu signora di Imola e contessa di Forlì, prima con il marito Girolamo Riario, poi come reggente per il figlio primogenito Ottaviano Riario. Cesare Borgia Cesare Borgia, detto il Valentino (in valenciano: Cèsar Borja; in spagnolo: César de Borja; in latino: Caesar Borgia; Subiaco, 13 settembre 1475 – Viana, 12 marzo 1507), è stato un condottiero, cardinale, nobile e politico italiano la cui famiglia era di origini valenciane (nativa di Xàtiva, Spagna). Figlio illegittimo del papa Alessandro VI (al secolo Rodrigo Borgia) e di Vannozza Cattanei, il maggiore tra i suoi fratelli (Giovanni, Goffredo e Lucrezia), fu un uomo politico spregiudicato, determinato e pronto a tutto per il potere[2]; certamente, una delle figure più controverse del Rinascimento italiano.
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Forli
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Gli Ordelaffi furono la famiglia che tenne, con interruzioni, la signoria della città di Forlì tra la fine del secolo XIII e gli inizi del secolo XVI. La famiglia Ordelaffi, comunque, prese il potere nella città di Forlì, roccaforte ghibellina, alla fine del XIII secolo. La signoria, estesa a Castrocaro, a Forlimpopoli e a Cesena, restò nelle loro mani fino al 1359 e di nuovo tra il 1376 e il 1480, con un effimero ritorno nel 1503-1504. Castelli e palazzi - Palazzo comunale di Forlì, esistente già nel XIV secolo e dove la famiglia trasferì la sua dimora nel 1412. Fu in seguito ampiamente rimaneggiato ed è attualmente sede del Municipio. - Palazzo Albicini, che occupa parte delle antiche case degli Ordelaffi, in corso Giuseppe Garibaldi, a Forlì. - Rocca di Ravaldino a Forlì, del XIV secolo. - Rocca di Forlimpopoli, eretta tra il 1380 e il 1400, attuale sede del Museo Archeologico Civico. - Castello di Predappio Alta, sorto nel X secolo e fortificato nel 1471 sotto il dominio di Pino III Ordelaffi. Caterina Sforza Caterina Sforza (Milano, 1463 circa – Firenze, 28 maggio 1509) fu signora di Imola e contessa di Forlì, prima con il marito Girolamo Riario, poi come reggente per il figlio primogenito Ottaviano Riario. Cesare Borgia Cesare Borgia, detto il Valentino (in valenciano: Cèsar Borja; in spagnolo: César de Borja; in latino: Caesar Borgia; Subiaco, 13 settembre 1475 – Viana, 12 marzo 1507), è stato un condottiero, cardinale, nobile e politico italiano la cui famiglia era di origini valenciane (nativa di Xàtiva, Spagna). Figlio illegittimo del papa Alessandro VI (al secolo Rodrigo Borgia) e di Vannozza Cattanei, il maggiore tra i suoi fratelli (Giovanni, Goffredo e Lucrezia), fu un uomo politico spregiudicato, determinato e pronto a tutto per il potere[2]; certamente, una delle figure più controverse del Rinascimento italiano.
La Signoria dei Malatesta Domenico Malatesta Malatesti, detto Novello Malatesta è stato un condottiero italiano. Figlio di Pandolfo III Malatesta ed Antonia da Barignano, nel 1429, dopo la morte dello zio Carlo Malatesta, diventa Signore di Cesena alla tenera età di 11 anni. Nel 1433 viene nominato cavaliere palatino dall'imperatore Sigismondo, e in seguito decise di tralasciare il primo nome Domenico per assumere il nuovo nome di Malatesta Novello. I suoi domini comprendevano Cesena, Bertinoro, Meldola, Sarsina, Roncofreddo ed il Piviero di Sestino. Ebbe inoltre Cervia dal fratello Sigismondo Pandolfo, dove costruì importanti opere di fortificazione. Nel 1434 sposa per contratto Violante da Montefeltro: lui ha sedici anni e lei solo quattro. I due promessi sposi rimangono separati e si riuniranno solo al compimento del dodicesimo anno di Violante. Si impegna sia in imprese militari, sia in opere di urbanistica e in attività culturali. Morì il 20 novembre 1465 a 47 anni di età, dopo una lunga malattia. Il Signore di Cesena, a differenza del fratello Sigismondo, che si fece costruire un luogo di sepoltura di grande rilievo (il Tempio Malatestiano a Rimini), volle per sé un luogo umile e lasciò scritto che venisse sepolto lungo il perimetro esterno della Chiesa di San Francesco, annessa al convento dove si trova la famosa biblioteca da lui fondata (oggi la chiesa non esiste più, al suo posto vi è Piazza Bufalini, prospiciente la Biblioteca Malatestiana). Nel 1811 si decise di traslare la tomba all'interno della Biblioteca, ma ci si accorse che il luogo dov'era stato sepolto appariva vuoto. Probabilmente le sue spoglie erano andate disperse durante i lavori di ristrutturazione della chiesa, avvenuti tra il 1751 e il 1758. Successive ricerche riportarono alla luce una cassa in legno di cipresso. Si ritenne che contenesse le ossa del Signore di Cesena e furono tumulate sotto la lapide (originale) conservata in Biblioteca. A Novello Malatesta vanno attribuite le grandi opere che hanno dato a Cesena l'impronta malatestiana che ancora oggi la caratterizza nella parte storica del centro urbano. Le sue realizzazioni sono notevoli, numerose e comprese in un arco di tempo piuttosto breve. In meno di trent'anni ordinò: la costruzione del Convento di Santa Maria per i frati dell'Osservanza (1438), i nuovi lavori per il rafforzamento della Rocca Malatestiana e l'allargamento della cinta muraria della città (1441); nel 1452 donò al Comune diversi possedimenti dalle parti di Cesenatico ma, soprattutto, fondò la Biblioteca Malatestiana presso il convento di San Francesco, gioiello unico nel suo genere e punto di riferimento di tutto il patrimonio culturale della città. La sua attività non ebbe soste: fece terminare il ponte di pietra sul fiume Savio, fece scavare un tunnel sotto il Monte della Brenzaglia per farvi scorrere il canale omonimo e per servire i mulini sull'altro versante, fece erigere la diga di Mulino Cento, fece rinforzare le mura e le porte della città, fece riprendere i lavori alla Rocca e terminare il castello di San Giorgio (1456). Nel 1458 Malatesta Novello regalò ai frati dell'Osservanza alcuni terreni subito fuori dalla Porta Figarola perché vi costruissero un nuovo convento. Nel 1459 fece costruire Porta Trova e l'anno successivo l'Ospedale del Santissimo Crocefisso (1460).
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Cesena
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La Signoria dei Malatesta Domenico Malatesta Malatesti, detto Novello Malatesta è stato un condottiero italiano. Figlio di Pandolfo III Malatesta ed Antonia da Barignano, nel 1429, dopo la morte dello zio Carlo Malatesta, diventa Signore di Cesena alla tenera età di 11 anni. Nel 1433 viene nominato cavaliere palatino dall'imperatore Sigismondo, e in seguito decise di tralasciare il primo nome Domenico per assumere il nuovo nome di Malatesta Novello. I suoi domini comprendevano Cesena, Bertinoro, Meldola, Sarsina, Roncofreddo ed il Piviero di Sestino. Ebbe inoltre Cervia dal fratello Sigismondo Pandolfo, dove costruì importanti opere di fortificazione. Nel 1434 sposa per contratto Violante da Montefeltro: lui ha sedici anni e lei solo quattro. I due promessi sposi rimangono separati e si riuniranno solo al compimento del dodicesimo anno di Violante. Si impegna sia in imprese militari, sia in opere di urbanistica e in attività culturali. Morì il 20 novembre 1465 a 47 anni di età, dopo una lunga malattia. Il Signore di Cesena, a differenza del fratello Sigismondo, che si fece costruire un luogo di sepoltura di grande rilievo (il Tempio Malatestiano a Rimini), volle per sé un luogo umile e lasciò scritto che venisse sepolto lungo il perimetro esterno della Chiesa di San Francesco, annessa al convento dove si trova la famosa biblioteca da lui fondata (oggi la chiesa non esiste più, al suo posto vi è Piazza Bufalini, prospiciente la Biblioteca Malatestiana). Nel 1811 si decise di traslare la tomba all'interno della Biblioteca, ma ci si accorse che il luogo dov'era stato sepolto appariva vuoto. Probabilmente le sue spoglie erano andate disperse durante i lavori di ristrutturazione della chiesa, avvenuti tra il 1751 e il 1758. Successive ricerche riportarono alla luce una cassa in legno di cipresso. Si ritenne che contenesse le ossa del Signore di Cesena e furono tumulate sotto la lapide (originale) conservata in Biblioteca. A Novello Malatesta vanno attribuite le grandi opere che hanno dato a Cesena l'impronta malatestiana che ancora oggi la caratterizza nella parte storica del centro urbano. Le sue realizzazioni sono notevoli, numerose e comprese in un arco di tempo piuttosto breve. In meno di trent'anni ordinò: la costruzione del Convento di Santa Maria per i frati dell'Osservanza (1438), i nuovi lavori per il rafforzamento della Rocca Malatestiana e l'allargamento della cinta muraria della città (1441); nel 1452 donò al Comune diversi possedimenti dalle parti di Cesenatico ma, soprattutto, fondò la Biblioteca Malatestiana presso il convento di San Francesco, gioiello unico nel suo genere e punto di riferimento di tutto il patrimonio culturale della città. La sua attività non ebbe soste: fece terminare il ponte di pietra sul fiume Savio, fece scavare un tunnel sotto il Monte della Brenzaglia per farvi scorrere il canale omonimo e per servire i mulini sull'altro versante, fece erigere la diga di Mulino Cento, fece rinforzare le mura e le porte della città, fece riprendere i lavori alla Rocca e terminare il castello di San Giorgio (1456). Nel 1458 Malatesta Novello regalò ai frati dell'Osservanza alcuni terreni subito fuori dalla Porta Figarola perché vi costruissero un nuovo convento. Nel 1459 fece costruire Porta Trova e l'anno successivo l'Ospedale del Santissimo Crocefisso (1460).
I Traversari (o domus Traversariorum, secondo i cronisti medievali) sono una famiglia nobiliare italiana. La dinastia vide la propria storia legata soprattutto alla città di Ravenna (che dominò tra i secoli XII e XIII) e fu resa illustre non solo da cavalieri, capitani e duchi, ma anche da donne incoronate e regine e da sacerdoti, frati, vescovi e santi. Traversari furono pure poeti, scrittori, pittori e musicisti. San Romualdo era figlio del duca Sergio degli Onesti di Ravenna e di Traversara Traversari figlia di Teodoro Traversari, figlia di Paolo I Traversari. Nato nel 952, si fece monaco dell'ordine di San Benedetto e fondò nel 1012 la casa religiosa di Camaldoli che diede il nome alla Congregazione dei Camaldolesi. Storico anche il Laghetto Traversari, sorto nei pressi. Gli Anastagi (o Anastasi o Nastasi, secondo alcune deformazioni locali) sono un antico casato italiano. Vede la propria storia originariamente legata soprattutto alla città di Ravenna (il cui dominio contese alla famiglia Traversari tra i secoli XII e XIII) e fu resa illustre principalmente da Dante che la citò nella sua Commedia, e da Boccaccio nel Decameron. A partire dal XIV secolo vi fu una sorta di diaspora che vide progressivamente emigrare suoi esponenti dapprima verso il centro-Italia (in particolare l'Umbria con Terni, ma anche nelle Marche) e in seguito verso la Sicilia e Malta dove tuttora persiste il nucleo più consistente. Vide tra i suoi maggiori esponenti vari capitani e nobili di vario rango e titolo ma anche sacerdoti, frati, pittori, scultori. Importante la componente maltese che annovera tra i suoi più illustri rappresentanti numerosi cavalieri di Malta.
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Ravenna
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I Traversari (o domus Traversariorum, secondo i cronisti medievali) sono una famiglia nobiliare italiana. La dinastia vide la propria storia legata soprattutto alla città di Ravenna (che dominò tra i secoli XII e XIII) e fu resa illustre non solo da cavalieri, capitani e duchi, ma anche da donne incoronate e regine e da sacerdoti, frati, vescovi e santi. Traversari furono pure poeti, scrittori, pittori e musicisti. San Romualdo era figlio del duca Sergio degli Onesti di Ravenna e di Traversara Traversari figlia di Teodoro Traversari, figlia di Paolo I Traversari. Nato nel 952, si fece monaco dell'ordine di San Benedetto e fondò nel 1012 la casa religiosa di Camaldoli che diede il nome alla Congregazione dei Camaldolesi. Storico anche il Laghetto Traversari, sorto nei pressi. Gli Anastagi (o Anastasi o Nastasi, secondo alcune deformazioni locali) sono un antico casato italiano. Vede la propria storia originariamente legata soprattutto alla città di Ravenna (il cui dominio contese alla famiglia Traversari tra i secoli XII e XIII) e fu resa illustre principalmente da Dante che la citò nella sua Commedia, e da Boccaccio nel Decameron. A partire dal XIV secolo vi fu una sorta di diaspora che vide progressivamente emigrare suoi esponenti dapprima verso il centro-Italia (in particolare l'Umbria con Terni, ma anche nelle Marche) e in seguito verso la Sicilia e Malta dove tuttora persiste il nucleo più consistente. Vide tra i suoi maggiori esponenti vari capitani e nobili di vario rango e titolo ma anche sacerdoti, frati, pittori, scultori. Importante la componente maltese che annovera tra i suoi più illustri rappresentanti numerosi cavalieri di Malta.
I Manfredi furono un nobile casato di probabile origine longobarda che esercitò la signoria sulla città di Faenza dal 1313 al 1501. Le prime notizie della famiglia risalgono al secolo XI e riguardano un Manfredo figlio di Guido. Nel 1103 Alberico di Guido di Manfredo viene ricordato tra i nobili di Faenza. Essi furono tra i protagonisti di tutte le guerre che sconvolsero la Romagna nel Basso Medioevo tenendo generalmente la bandiera guelfa, che li condusse ad un'eterna rivalità con l'altra potente famiglia cittadina degli Accarisi e con la ghibellina Forlì. Gli Accarisi furono una famiglia di Faenza del tredicesimo secolo, di parte ghibellina, che lottò contro i guelfi Manfredi per il predominio del comune. Si trovarono perciò spesso alleati coi forlivesi, città ghibellina, ed in particolare con gli Ordelaffi. Presero il controllo di Faenza nel 1238, ma lo persero nel 1249. Nel 1276 o 1279 le due famiglie deposero le armi e, insieme, presero a combattere contro i baroni di Sassatello.
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Faenza
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I Manfredi furono un nobile casato di probabile origine longobarda che esercitò la signoria sulla città di Faenza dal 1313 al 1501. Le prime notizie della famiglia risalgono al secolo XI e riguardano un Manfredo figlio di Guido. Nel 1103 Alberico di Guido di Manfredo viene ricordato tra i nobili di Faenza. Essi furono tra i protagonisti di tutte le guerre che sconvolsero la Romagna nel Basso Medioevo tenendo generalmente la bandiera guelfa, che li condusse ad un'eterna rivalità con l'altra potente famiglia cittadina degli Accarisi e con la ghibellina Forlì. Gli Accarisi furono una famiglia di Faenza del tredicesimo secolo, di parte ghibellina, che lottò contro i guelfi Manfredi per il predominio del comune. Si trovarono perciò spesso alleati coi forlivesi, città ghibellina, ed in particolare con gli Ordelaffi. Presero il controllo di Faenza nel 1238, ma lo persero nel 1249. Nel 1276 o 1279 le due famiglie deposero le armi e, insieme, presero a combattere contro i baroni di Sassatello.
Il primo sovrano di Imola della famiglia Manfredi fu Francesco I, nominato capitano del popolo il 9 novembre 1314. Suo figlio Ricciardo, giovane uomo che aveva servito nell'esercito del re di Napoli e dal 1322 al 1327 aveva servito anche come capitano del popolo di Imola. Il fratello di Astorre II, Guidantonio (morto nel 1443), governò Imola dal 1439, tuttavia, nel 1441, Astorre II rimosse per qualche tempo suo fratello dalla signoria. Il figlio di Guidantonio, Taddeo Manfredi (morto dopo il 1484), dopo la morte di suo padre nel 1448 fu in grado di affermarsi al potere a Imola. Nel 1473, questa proprietà fu presa a Taddeo dal duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, che trasferì Imola in dote per la figlia illegittima Caterina e a suo marito Girolamo Riario. Riario I Riario sono una nobile famiglia del XII secolo, originaria di Savona, che si diramò a Bologna, Genova, Venezia, Roma e Napoli. Il ramo romagnolo ebbe la signoria di Forlì e Imola e si originò da Paolo Riario, che sposò Bianca della Rovere, sorella di Francesco e futuro Papa Sisto IV. La casata ebbe il proprio ultimo rappresentante in Girolamo Riario che, sposando Caterina Sforza, figlia naturale e legittimata di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, e della sua amante Lucrezia Landriani, andò a creare il ramo dei Riario-Sforza ove le fortune della casata confluirono. Riario Sforza Trasse origine per il matrimonio nel 1477 di Girolamo Riario con Caterina Sforza, figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano. Consegnate nel 1499 Cesare Borgia le signorie di Imola e di Forlì. Residenze costruite ed abitate dagli Sforza in Romagna: - Rocca di Ravaldino Forlì (FC) - Rocca di Imola (BO) - Rocca di Bagnara - Rocca di Riolo. La nobile famiglia Alidosi è originaria della valle del Santerno in Romagna; di essa si hanno notizie a partire dal VII secolo. Gli Alidosi ottennero le prime cariche pubbliche ad Imola, la città più importante della valle del Santerno, dopo la cacciata della famiglia rivale dei Nordigli (1286). Nel corso del XIV secolo presero e ripresero la Signoria di Imola più volte. Un ramo della famiglia si trasferì in città, mentre l'altro ramo continuò a governare Castel del Rio.
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Imola
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Il primo sovrano di Imola della famiglia Manfredi fu Francesco I, nominato capitano del popolo il 9 novembre 1314. Suo figlio Ricciardo, giovane uomo che aveva servito nell'esercito del re di Napoli e dal 1322 al 1327 aveva servito anche come capitano del popolo di Imola. Il fratello di Astorre II, Guidantonio (morto nel 1443), governò Imola dal 1439, tuttavia, nel 1441, Astorre II rimosse per qualche tempo suo fratello dalla signoria. Il figlio di Guidantonio, Taddeo Manfredi (morto dopo il 1484), dopo la morte di suo padre nel 1448 fu in grado di affermarsi al potere a Imola. Nel 1473, questa proprietà fu presa a Taddeo dal duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, che trasferì Imola in dote per la figlia illegittima Caterina e a suo marito Girolamo Riario. Riario I Riario sono una nobile famiglia del XII secolo, originaria di Savona, che si diramò a Bologna, Genova, Venezia, Roma e Napoli. Il ramo romagnolo ebbe la signoria di Forlì e Imola e si originò da Paolo Riario, che sposò Bianca della Rovere, sorella di Francesco e futuro Papa Sisto IV. La casata ebbe il proprio ultimo rappresentante in Girolamo Riario che, sposando Caterina Sforza, figlia naturale e legittimata di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, e della sua amante Lucrezia Landriani, andò a creare il ramo dei Riario-Sforza ove le fortune della casata confluirono. Riario Sforza Trasse origine per il matrimonio nel 1477 di Girolamo Riario con Caterina Sforza, figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano. Consegnate nel 1499 Cesare Borgia le signorie di Imola e di Forlì. Residenze costruite ed abitate dagli Sforza in Romagna: - Rocca di Ravaldino Forlì (FC) - Rocca di Imola (BO) - Rocca di Bagnara - Rocca di Riolo. La nobile famiglia Alidosi è originaria della valle del Santerno in Romagna; di essa si hanno notizie a partire dal VII secolo. Gli Alidosi ottennero le prime cariche pubbliche ad Imola, la città più importante della valle del Santerno, dopo la cacciata della famiglia rivale dei Nordigli (1286). Nel corso del XIV secolo presero e ripresero la Signoria di Imola più volte. Un ramo della famiglia si trasferì in città, mentre l'altro ramo continuò a governare Castel del Rio.
Bagnara di Romagna
I Malatesta (o Malatesti, dal latino "de Malatestiis"), originari del Montefeltro[5], furono una nobile famiglia italiana, tra le più importanti ed influenti del Medioevo, che dominò sulla Signoria di Rimini e su vari territori della Romagna dal 1295 al 1500 (e successivi brevi periodi). Nel periodo di massima influenza, estesero i propri domini lungo la costa marchigiana, fino ad Ascoli Piceno, Senigallia, Sansepolcro e Citerna, e a Nord, sui territori di Bergamo e di Brescia. La signoria di Rimini è stata un'entità territoriale autonoma esistita dal 1295 al 1500, costituita da Malatesta da Verucchio dopo il periodo comunale della città e governata dai suoi discendenti per più di duecento anni. Successivamente all'occupazione da parte di Cesare Borgia e all'incorporazione nei domini della Chiesa, nel biennio 1522-1523 Pandolfo IV Malatesta, detto Pandolfaccio, riconquistò il potere e anche nel periodo 1527-1528, insieme al figlio Sigismondo (1498-1543), allorché il territorio fu definitivamente annesso allo Stato Pontificio.
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Rimini
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I Malatesta (o Malatesti, dal latino "de Malatestiis"), originari del Montefeltro[5], furono una nobile famiglia italiana, tra le più importanti ed influenti del Medioevo, che dominò sulla Signoria di Rimini e su vari territori della Romagna dal 1295 al 1500 (e successivi brevi periodi). Nel periodo di massima influenza, estesero i propri domini lungo la costa marchigiana, fino ad Ascoli Piceno, Senigallia, Sansepolcro e Citerna, e a Nord, sui territori di Bergamo e di Brescia. La signoria di Rimini è stata un'entità territoriale autonoma esistita dal 1295 al 1500, costituita da Malatesta da Verucchio dopo il periodo comunale della città e governata dai suoi discendenti per più di duecento anni. Successivamente all'occupazione da parte di Cesare Borgia e all'incorporazione nei domini della Chiesa, nel biennio 1522-1523 Pandolfo IV Malatesta, detto Pandolfaccio, riconquistò il potere e anche nel periodo 1527-1528, insieme al figlio Sigismondo (1498-1543), allorché il territorio fu definitivamente annesso allo Stato Pontificio.
La casata di Stagio Traversari visse prevalentemente nella zona di Portico di Romagna fino alla metà del '700, annoverando varie generazioni di Notai. A Portico di Romagna ricordano ancora la presenza dei Traversari con il Palazzo Traversari e la Piazza Ambrogio Traversari.
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Portico di Romagna
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La casata di Stagio Traversari visse prevalentemente nella zona di Portico di Romagna fino alla metà del '700, annoverando varie generazioni di Notai. A Portico di Romagna ricordano ancora la presenza dei Traversari con il Palazzo Traversari e la Piazza Ambrogio Traversari.
I da Polenta (o Polentani) furono una nobile famiglia italiana. Da Polenta deriva dal castello di Polenta, presso Bertinoro, da essa tenuto in enfiteusi. Il casato ebbe la signoria feudale di Ravenna dal 1275 al 1441.
Polenta
I da Polenta (o Polentani) furono una nobile famiglia italiana. Da Polenta deriva dal castello di Polenta, presso Bertinoro, da essa tenuto in enfiteusi. Il casato ebbe la signoria feudale di Ravenna dal 1275 al 1441.
Nel 1210 gli Alidosi ottennero dall'imperatore Ottone IV di Brunswick la signoria rurale sulla massa di Sant'Ambrogio, centro abitato dell'alta valle del Santerno (da cui poi nacque Castel del Rio). Il privilegio, ottenuto probabilmente per i servigi militari resi all'imperatore, fu concesso con la formula cum omnìmoda justictione ac mero et mixto imperio, vale a dire con poteri pressoché assoluti. L'aquila imperiale che campeggia nello stemma del casato testimonia il rapporto di fedeltà alla casa imperiale.
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CASTEL DEL RIO
1 Via Montanara
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Nel 1210 gli Alidosi ottennero dall'imperatore Ottone IV di Brunswick la signoria rurale sulla massa di Sant'Ambrogio, centro abitato dell'alta valle del Santerno (da cui poi nacque Castel del Rio). Il privilegio, ottenuto probabilmente per i servigi militari resi all'imperatore, fu concesso con la formula cum omnìmoda justictione ac mero et mixto imperio, vale a dire con poteri pressoché assoluti. L'aquila imperiale che campeggia nello stemma del casato testimonia il rapporto di fedeltà alla casa imperiale.
I conti Guidi furono una delle maggiori casate dell'Italia centrale nel corso del Medioevo. Conosciuti come Conti palatini di Toscana, dominarono su gran parte della Toscana, Romagna ed Emilia. Grazie alla loro importanza, ambirono a formare una dinastia regnante stabile in Toscana (favoriti in questo anche dalla protezione di Matilde di Toscana). I castelli principali furono quelli di Poppi, Romena, Porciano nel Casentino in Toscana, di Bagno e Montegranelli nella valle del Savio, di Dovadola e Modigliana nella valle del Montone in Romagna.
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Dovadola
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I conti Guidi furono una delle maggiori casate dell'Italia centrale nel corso del Medioevo. Conosciuti come Conti palatini di Toscana, dominarono su gran parte della Toscana, Romagna ed Emilia. Grazie alla loro importanza, ambirono a formare una dinastia regnante stabile in Toscana (favoriti in questo anche dalla protezione di Matilde di Toscana). I castelli principali furono quelli di Poppi, Romena, Porciano nel Casentino in Toscana, di Bagno e Montegranelli nella valle del Savio, di Dovadola e Modigliana nella valle del Montone in Romagna.
Guidi di Bagno è un'antica nobile famiglia di origine longobarda, che si trapiantò prima in Romagna (Bagno di Romagna) e quindi a Mantova e Montebello nel XV secolo.
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Bagno di Romagna
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Guidi di Bagno è un'antica nobile famiglia di origine longobarda, che si trapiantò prima in Romagna (Bagno di Romagna) e quindi a Mantova e Montebello nel XV secolo.
La famiglia da Montefeltro è una famiglia che governò prima il castello di Monte Copiolo (XII secolo) poi la contea di Montefeltro e quella di Urbino. Nel XV secolo il loro dominio si estese su tutto il Ducato di Urbino, uno stato che comprendeva la parte settentrionale dell'odierna regione Marche, parte della Romagna e parte dell'Umbria. La dinastia nacque, presumibilmente, da un ramo della famiglia dei conti di Carpegna. Il primo personaggio di cui si tramandarono le gesta fu Montefeltrano I (1135-1202), conte del castello di Monte Copiolo. Nella seconda metà del XII secolo si impadronirono del centro principale dell'alta Valmarecchia, San Leo (Mons Feretri), che era anche sede vescovile, ed assunsero il nome attuale. I loro dominii si estesero rapidamente e i Da Montefeltro salirono alla testa dei ghibellini di Romagna. La famiglia Da Montefeltro fu fedele all'imperatore del Sacro Romano Impero per tutta la prima metà del XIII secolo.
Montecopiolo
La famiglia da Montefeltro è una famiglia che governò prima il castello di Monte Copiolo (XII secolo) poi la contea di Montefeltro e quella di Urbino. Nel XV secolo il loro dominio si estese su tutto il Ducato di Urbino, uno stato che comprendeva la parte settentrionale dell'odierna regione Marche, parte della Romagna e parte dell'Umbria. La dinastia nacque, presumibilmente, da un ramo della famiglia dei conti di Carpegna. Il primo personaggio di cui si tramandarono le gesta fu Montefeltrano I (1135-1202), conte del castello di Monte Copiolo. Nella seconda metà del XII secolo si impadronirono del centro principale dell'alta Valmarecchia, San Leo (Mons Feretri), che era anche sede vescovile, ed assunsero il nome attuale. I loro dominii si estesero rapidamente e i Da Montefeltro salirono alla testa dei ghibellini di Romagna. La famiglia Da Montefeltro fu fedele all'imperatore del Sacro Romano Impero per tutta la prima metà del XIII secolo.
Il marchese Maghinardo Pagani da Susinana (Badia Susinana, 1250 – Marradi, 27 agosto 1302) è stato un condottiero e politico italiano del XIII-XIV secolo. Destreggiandosi abilmente tra le opposte fazioni dei guelfi e dei ghibellini, seppe creare una propria signoria su tre vallate parallele dell'Appennino romagnolo: Lamone, Senio e Santerno. Fu capitano del popolo e podestà di Faenza e di Imola, capitano del popolo di Forlì.
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Brisighella
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Il marchese Maghinardo Pagani da Susinana (Badia Susinana, 1250 – Marradi, 27 agosto 1302) è stato un condottiero e politico italiano del XIII-XIV secolo. Destreggiandosi abilmente tra le opposte fazioni dei guelfi e dei ghibellini, seppe creare una propria signoria su tre vallate parallele dell'Appennino romagnolo: Lamone, Senio e Santerno. Fu capitano del popolo e podestà di Faenza e di Imola, capitano del popolo di Forlì.
Il ramo di Santa Sofia della famiglia Colloredo godette dei seguenti titoli nobiliari: Marchesi di Santa Sofia, Signori di Colloredo, Mels e ville annesse, Nobili col predicato di detti titoli, Conti dell'Impero Austriaco, Nobili di Recanati. Il barone Fabrizio Colloredo, è insignito del marchesato di Santa Sofia e Monterotondo dal granduca di Toscana Cosimo II, del quale era maestro di camera, con diploma del 23 settembre 1615. Avranno il possesso del feudo fino al 1794 quando venne soppresso.
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Santa Sofia
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Il ramo di Santa Sofia della famiglia Colloredo godette dei seguenti titoli nobiliari: Marchesi di Santa Sofia, Signori di Colloredo, Mels e ville annesse, Nobili col predicato di detti titoli, Conti dell'Impero Austriaco, Nobili di Recanati. Il barone Fabrizio Colloredo, è insignito del marchesato di Santa Sofia e Monterotondo dal granduca di Toscana Cosimo II, del quale era maestro di camera, con diploma del 23 settembre 1615. Avranno il possesso del feudo fino al 1794 quando venne soppresso.
I conti di Cunio furono una famiglia nobile della Romagna. Appartenente al campo guelfo, fu protagonista delle vicende politiche della Bassa Romagna dal XIII al XIV secolo.
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Lugo
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I conti di Cunio furono una famiglia nobile della Romagna. Appartenente al campo guelfo, fu protagonista delle vicende politiche della Bassa Romagna dal XIII al XIV secolo.
La storia della famiglia riminese dei Bennoni. Il padre, Benno «venerabile figlio del fu Vitaliano Benno», era un grande feudatario, proprietario di vaste estensioni di terre. Sua moglie Armingarda, «figlia del defunto illustre signore Tebaldo», gli aveva recato in dote altre proprietà fondiarie. Dal loro matrimonio nacquero tre figli. Uno soltanto, Pietro Bennone, sopravvisse al padre.
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Morciano di Romagna
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La storia della famiglia riminese dei Bennoni. Il padre, Benno «venerabile figlio del fu Vitaliano Benno», era un grande feudatario, proprietario di vaste estensioni di terre. Sua moglie Armingarda, «figlia del defunto illustre signore Tebaldo», gli aveva recato in dote altre proprietà fondiarie. Dal loro matrimonio nacquero tre figli. Uno soltanto, Pietro Bennone, sopravvisse al padre.
Preceduto da Contea di Montefeltro La contea di Carpegna, feudo imperiale, era un territorio di confine situato nella regione storica del Montefeltro, tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana, e fu governata fino al 1819 dall'omonima nobile famiglia. Nel 1460 si rese autonoma la contea di Scavolino, elevata poi a principato. Originatasi alla fine del XII secolo dalla divisione del gruppo consortile che avrebbe dato origine ai conti da Montefeltro e ai conti di Carpegna propriamente detti, nel XIII e XIV secolo la contea - che ritroviamo attestata per la prima volta come comitatus comitum de Carpengna in un atto del 1238[2] - si sviluppava intorno a due nuclei territoriali distinti. Il primo era situato nell'area del monte Carpegna, l'altro nell'area di San Marino. Essa giunse a comprendere in tempi diversi almeno trenta castelli, oggi compresi nelle province di Pesaro (Carpegna, Castellaccia, Castrum Arimannorum, Landeto, Palazzo Corignano, Pieve di Carpegna, Torre dei Fossati, Villa Sorbi), Rimini (Bascio, Billi, Castrum Pertice, Gattara, Maciano, Meleto, Miratoio, Monte Acuto (oggi Monte San Marco, presso Villagrande di Montecopiolo), Pietracuta, San Lorenzo, Sassofeltrio, Scavolino, Soanne, Tramarecchia, Turris dompni Nicole), Arezzo (Arsicci, Asaio, Belvedere, Monterotondo, Roti), Forlì (Montegelli) e nella repubblica di San Marino (Castrum Rome, Casole, Fiorentino, Montegiardino, Pennarossa, Torricella). Inoltre i conti, che avevano giurato il cittadinatico di Città di Castello, Rimini e Ravenna, detenevano uomini e diritti di varia natura nei contadi di quelle città. L'aggregato politico era di una certa consistenza, tanto che i suoi signori nel 1256 dichiaravano di poter garantire a Città di Castello un contingente di mille fanti e venti cavalieri in caso di leva generale dell'esercito.[3] I domini situati nel Montefeltro si ridussero di numero e di estensione dalla fine del XIII secolo. Nella seconda metà del XV secolo, la perdita di gran parte dei castelli dell'area sammarinese e la scomparsa dei Malatesta dalla scena politica portarono i conti di Carpegna a dividersi definitivamente in due rami (1463). Un ramo ebbe Carpegna con altri tre castelli (Castellaccia, Palazzo Corignano e Torre dei Fossati), mentre l'altro ebbe Gattara, Bascio, Miratoio e Scavolino, costituendo un feudo che nel 1685 acquisì il rango di principato imperiale.[4] L'ingresso di Firenze nella politica di quella zona sul finire del Quattrocento, portò i Carpegna di entrambe le linee a cercare la protezione toscana tramite dei trattati di accomandigia, che li posero definitivamente al riparo dai tentativi di incameramento urbinate. Il 4 marzo 1490 fu infatti stipulato un atto di accomandigia con la repubblica fiorentina per assicurarsi tutela e difesa: il conte, nel giorno di San Giovanni Battista, partecipava in Firenze alla processione dei vassalli per consegnare un palio di seta del valore di sei fiorini d'oro.[5]Da allora e fino al 1819, i due territori feudali di Carpegna e di Gattara-Scavolino rimasero autonomi, come feudi imperiali. Tuttavia la contea di Carpegna, per la sua posizione strategica di confine, fu spesso occupata o minacciata, come accadde con Cesare Borgia e Giovanni dalle Bande Nere.[6] Si verificarono, inoltre, seri problemi connessi con la successione e la possibile estinzione della famiglia comitale: in un'evenienza del genere ci sarebbe stata la devoluzione a Firenze o a Roma. Nel 1560, morì il conte Orazio I lasciando un solo figlio, Giovanni III, che scomparirà precocemente. La vedova di questi, Beatrice, era in stato di gravidanza e, sotto la sorveglianza di emissari del duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere (timoroso di un'annessione toscana), diede alla luce Orazio II, che salvò la dinastia e la contea.[7] Tra i più significativi esponenti della famiglia si ricorda il cardinale Gaspare, famoso collezionista d'arte che, nel 1674, affidò all'architetto Giovanni Antonio De Rossi il progetto, in Carpegna, dell'imponente palazzo detto dei principi, costruito dal capomastro muratore Carlo Perugini da Gubbio tra il 1679 e il 1687. Nel 1749 la contea visse una nuova e complessa fase successoria. Il conte Francesco Maria, infatti, privo di eredi maschi, nominò a succedergli il nipote marchese Antonio Gabrielli (figlio di Mario Gabrielli e della sua figlia primogenita Laura) con l'obbligo di assumere il nome e titolo della casa di Carpegna. Tale decisione, però, provocò l'indignazione del granduca di Toscana, che era l'imperatore Francesco I (consorte di Maria Teresa d'Austria): il 10 giugno 1749, egli fece dunque occupare la contea che, in base agli accordi, in mancanza di prole maschile sarebbe dovuta passare al suo Stato. Il Papa, i sovrani di Francia, di Sardegna e di Spagna appoggiarono l'erede di Francesco Maria che, dopo il ritiro dell'esercito toscano, poté rientrare[8] nell'avito palazzo a Carpegna. Nel 1797 si verificò un'altra situazione inconsueta: Napoleone I si impadronì dello Stato della Chiesa ma non occupò Carpegna, ritenendola un possedimento asburgico, cosicché nel 1803 il conte dominante poté persino emanare gli statuti della contea. Questa mantenne la sua autonomia fino al 1807, quando fu assorbita nel regno napoleonico d'Italia. Caduto Napoleone, l'ultimo conte sovrano, Gaspare, fu reintegrato nei suoi domini e nel 1817 riunì la contea di Carpegna e il principato di Scavolino sotto la propria giurisdizione. Papa Pio VII, però, aveva abolito il feudalesimo e, ritenendo assai pericolosa l'esistenza di un libero staterello al confine dello Stato pontificio, lo costrinse, nel 1819, a cedere i diritti e il patrimonio.[9] Si accese allora una lunga contesa giurisdizionale con il granducato di Toscana che si protrasse fino a che, nel 1861, l'istituzione del Regno d’Italia rese superate le liti sui confini fra gli Stati preunitari. Il patrimonio fu invece riacquistato nel 1851 dal figlio del figlio di Gaspare, Luigi, che nel 1865 assunse anche il cognome Falconieri.
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Carpegna
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Preceduto da Contea di Montefeltro La contea di Carpegna, feudo imperiale, era un territorio di confine situato nella regione storica del Montefeltro, tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana, e fu governata fino al 1819 dall'omonima nobile famiglia. Nel 1460 si rese autonoma la contea di Scavolino, elevata poi a principato. Originatasi alla fine del XII secolo dalla divisione del gruppo consortile che avrebbe dato origine ai conti da Montefeltro e ai conti di Carpegna propriamente detti, nel XIII e XIV secolo la contea - che ritroviamo attestata per la prima volta come comitatus comitum de Carpengna in un atto del 1238[2] - si sviluppava intorno a due nuclei territoriali distinti. Il primo era situato nell'area del monte Carpegna, l'altro nell'area di San Marino. Essa giunse a comprendere in tempi diversi almeno trenta castelli, oggi compresi nelle province di Pesaro (Carpegna, Castellaccia, Castrum Arimannorum, Landeto, Palazzo Corignano, Pieve di Carpegna, Torre dei Fossati, Villa Sorbi), Rimini (Bascio, Billi, Castrum Pertice, Gattara, Maciano, Meleto, Miratoio, Monte Acuto (oggi Monte San Marco, presso Villagrande di Montecopiolo), Pietracuta, San Lorenzo, Sassofeltrio, Scavolino, Soanne, Tramarecchia, Turris dompni Nicole), Arezzo (Arsicci, Asaio, Belvedere, Monterotondo, Roti), Forlì (Montegelli) e nella repubblica di San Marino (Castrum Rome, Casole, Fiorentino, Montegiardino, Pennarossa, Torricella). Inoltre i conti, che avevano giurato il cittadinatico di Città di Castello, Rimini e Ravenna, detenevano uomini e diritti di varia natura nei contadi di quelle città. L'aggregato politico era di una certa consistenza, tanto che i suoi signori nel 1256 dichiaravano di poter garantire a Città di Castello un contingente di mille fanti e venti cavalieri in caso di leva generale dell'esercito.[3] I domini situati nel Montefeltro si ridussero di numero e di estensione dalla fine del XIII secolo. Nella seconda metà del XV secolo, la perdita di gran parte dei castelli dell'area sammarinese e la scomparsa dei Malatesta dalla scena politica portarono i conti di Carpegna a dividersi definitivamente in due rami (1463). Un ramo ebbe Carpegna con altri tre castelli (Castellaccia, Palazzo Corignano e Torre dei Fossati), mentre l'altro ebbe Gattara, Bascio, Miratoio e Scavolino, costituendo un feudo che nel 1685 acquisì il rango di principato imperiale.[4] L'ingresso di Firenze nella politica di quella zona sul finire del Quattrocento, portò i Carpegna di entrambe le linee a cercare la protezione toscana tramite dei trattati di accomandigia, che li posero definitivamente al riparo dai tentativi di incameramento urbinate. Il 4 marzo 1490 fu infatti stipulato un atto di accomandigia con la repubblica fiorentina per assicurarsi tutela e difesa: il conte, nel giorno di San Giovanni Battista, partecipava in Firenze alla processione dei vassalli per consegnare un palio di seta del valore di sei fiorini d'oro.[5]Da allora e fino al 1819, i due territori feudali di Carpegna e di Gattara-Scavolino rimasero autonomi, come feudi imperiali. Tuttavia la contea di Carpegna, per la sua posizione strategica di confine, fu spesso occupata o minacciata, come accadde con Cesare Borgia e Giovanni dalle Bande Nere.[6] Si verificarono, inoltre, seri problemi connessi con la successione e la possibile estinzione della famiglia comitale: in un'evenienza del genere ci sarebbe stata la devoluzione a Firenze o a Roma. Nel 1560, morì il conte Orazio I lasciando un solo figlio, Giovanni III, che scomparirà precocemente. La vedova di questi, Beatrice, era in stato di gravidanza e, sotto la sorveglianza di emissari del duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere (timoroso di un'annessione toscana), diede alla luce Orazio II, che salvò la dinastia e la contea.[7] Tra i più significativi esponenti della famiglia si ricorda il cardinale Gaspare, famoso collezionista d'arte che, nel 1674, affidò all'architetto Giovanni Antonio De Rossi il progetto, in Carpegna, dell'imponente palazzo detto dei principi, costruito dal capomastro muratore Carlo Perugini da Gubbio tra il 1679 e il 1687. Nel 1749 la contea visse una nuova e complessa fase successoria. Il conte Francesco Maria, infatti, privo di eredi maschi, nominò a succedergli il nipote marchese Antonio Gabrielli (figlio di Mario Gabrielli e della sua figlia primogenita Laura) con l'obbligo di assumere il nome e titolo della casa di Carpegna. Tale decisione, però, provocò l'indignazione del granduca di Toscana, che era l'imperatore Francesco I (consorte di Maria Teresa d'Austria): il 10 giugno 1749, egli fece dunque occupare la contea che, in base agli accordi, in mancanza di prole maschile sarebbe dovuta passare al suo Stato. Il Papa, i sovrani di Francia, di Sardegna e di Spagna appoggiarono l'erede di Francesco Maria che, dopo il ritiro dell'esercito toscano, poté rientrare[8] nell'avito palazzo a Carpegna. Nel 1797 si verificò un'altra situazione inconsueta: Napoleone I si impadronì dello Stato della Chiesa ma non occupò Carpegna, ritenendola un possedimento asburgico, cosicché nel 1803 il conte dominante poté persino emanare gli statuti della contea. Questa mantenne la sua autonomia fino al 1807, quando fu assorbita nel regno napoleonico d'Italia. Caduto Napoleone, l'ultimo conte sovrano, Gaspare, fu reintegrato nei suoi domini e nel 1817 riunì la contea di Carpegna e il principato di Scavolino sotto la propria giurisdizione. Papa Pio VII, però, aveva abolito il feudalesimo e, ritenendo assai pericolosa l'esistenza di un libero staterello al confine dello Stato pontificio, lo costrinse, nel 1819, a cedere i diritti e il patrimonio.[9] Si accese allora una lunga contesa giurisdizionale con il granducato di Toscana che si protrasse fino a che, nel 1861, l'istituzione del Regno d’Italia rese superate le liti sui confini fra gli Stati preunitari. Il patrimonio fu invece riacquistato nel 1851 dal figlio del figlio di Gaspare, Luigi, che nel 1865 assunse anche il cognome Falconieri.
Piuttosto scarse sono le informazioni precedenti l'anno 1000. La prima menzione di Scavolino è fatta nel diploma di Ottone I datato 962, documento che i più ritengono essere però un falso. La successiva citazione della frazione è in un testamento del Conte Girardo di Bertinoro datato 1062 dove, fra i castelli lasciati in eredità al figlio, risulta esservi anche Scavolino. Prima del 1343 il castello rimase di proprietà dei Montefeltro: a quest'anno è infatti datato l'acquisto di metà della struttura da parte del conte Nerio Carpegna. In un documento dell'anno 1371, che attribuisce la proprietà del castello a Rinalduccio Carpegna e Bandino Carpegna, è scritto che nell'area prossima al castello si contavano diciotto famiglie. Da questo periodo Scavolino fu per lungo tempo senza dubbio possesso dei conti di Carpegna. Nel 1458, a seguito dell'alleanza fra i Carpegna ed i Malatesta, Federico da Montefeltro, preoccupato dalla vicinanza dello storico nemico, cinse d'assedio i castelli dei Carpegna, forte dell'appoggio della Chiesa e di Alfonso d'Aragona, re di Napoli. Le guerre si conclusero nel 1462 con la disfatta dei Malatesta sul Cesano. Il castello di Scavolino, come la gran parte dei possedimenti carpinei, venne saccheggiato dalle truppe di Federico d'Urbino. A seguito dei trattati di pace e delle divergenze in seno agli stessi Carpegna sulla politica delle alleanze, il 4 dicembre 1463 il castello di Scavolino passò assieme a quelli di Gattara, Bascio e Miratoio nelle mani del Conte Francesco. Ben presto, nel 1465, a costui successe il figlio Ugo che portò avanti un valido lavoro diplomatico sfociato nel 1484 con la concessione alla Contea della protezione papale da parte di Innocenzo VIII e con il patto d'accomandigia con la Repubblica Fiorentina stipulato il 26 marzo 1490. Nel 1491, a seguito della rivendicazione di Giannicolò Carpegna, il duca d'Urbino invase la Contea, ma dovette recedere dai suoi propositi a seguito dell'intervento di Firenze. Al Conte Francesco successe il figlio secondogenito Tommaso, che fece costruire il nuovo castello e bonificò il lago che si trovava ai piedi della rocca trasformandolo in un'area tutt'oggi utilizzata per le coltivazioni. Tommaso si distinse come abilissimo diplomatico sapendosi destreggiare con abilità fra i potenti che si contendevano le terre limitrofe (il Duca d'Urbino e il Granduca di Toscana) e riuscendo persino nell'intento di allargare i confini della contea. Alla sua morte, avvenuta il 21 luglio 1610, la sua salma fu sepolta nella Chiesa Plebale di Scavolino, in quella che è oggi la chiesa dedicata a Santa Mustiola. Vale la pena di ricordare quello che fu probabilmente il più famoso dei figli di Tommaso: il quartogenito Ulderico Carpegna, cardinale della Chiesa cattolica entrato nella rosa dei papabili nel conclave dal quale uscì papa Alessandro VII. La Contea fu ereditata dal terzogenito Mario. Nel 1685 Leopoldo I Imperatore d'Austria insignì del titolo di Principe del Sacro Romano Impero Ulderico di Scavolino, per cui anche i suoi successori poterono fregiarsi del titolo di Principe. Questi, nel 1682 avrebbe trattato con i ministri di Francia la cessione della Contea di Scavolino, provocando così la reazione del Cardinale Gaspare di Carpegna che acquistò Miratoio facendo recedere Ulderico dai propri propositi. Alla sua morte, nel 1728, Ulderico non aveva eredi diretti e si scatenò la lotta per la successione. Questa si risolse il 31 agosto 1741, quando la spuntò il marchese Orsini. La stirpe si protrasse fino al 7 maggio 1817; con la morte dell'ultima contessa di Scavolino si ebbe infatti la riunificazione dei due feudi che vennero devoluti nel 1819 alla Santa Sede con l'istituzione di un Comune facente capo a Scavolino. La sede del comune fu spostata a Bascio a seguito delle elezioni generali del 26 settembre 1920, quando vennero eletti solo 4 rappresentanti scavolinesi contro gli 11 di Bascio e Gattara. La popolazione del capoluogo storico non fu felice della novità. A seguito dei forti attriti fra Scavolino e Bascio venne modificato il nome del Comune come "Comune di Scavolino sede di Bascio". Questo non fu che il preludio alla soppressione del Comune, che avvenne per Regio Decreto il 1º novembre 1928 con l'annessione a Pennabilli. Nel 1460 la contea di Scavolino si staccò da Carpegna con Ugo, cugino di Lamberto che divise i territori: sottoscrisse l'atto di scissione tre anni dopo con il conte Giovanni II; nel 1490, poi, per maggiore sicurezza e tutela, concluse un accordo di accomandigia con la repubblica di Firenze.[12] Il conte Tommaso (1560-1610) trasferì la residenza da Gattara a Scavolino, dove abbellì il borgo e fece erigere il possente palazzo-fortezza (di cui, sopravvissuto fino ai primi del Novecento, rimangono solo i ruderi): emanò un nuovo statuto, riunendo le norme volute dai predecessori.[13] Nel 1685 la contea fu elevata a principato con diploma dell'imperatore Leopoldo I d'Asburgo: Ulderico sarà il primo a fregiarsi del titolo di principe del S. R. I. e di Bascio. Privo di figli, nel 1731 Ulderico trasmise il principato al nipote Emilio Orsini, figlio della sorella Vittoria.[14] Ulderico II sarà l'ultimo reggente fino al 1797 a causa dell'occupazione napoleonica: ritornerà nel 1814 per morire poco dopo. Il 7 maggio 1817 scomparve la vedova Anna Girolama e, nel 1819, i due feudi dei Carpegna furono annessi allo Stato Pontificio. Il luogo di sepoltura dei principi di Scavolino era nella chiesa di Santa Mustiola.[15] Da ricordare la madre del primo principe Ulderico, Teresa Dudley (1623-1698), figlia di Robert, conte di Warwick e duca di Northumberland (1574-1649) a sua volta figlio di Robert, conte di Leicester (1532-1588), favorito della regina Elisabetta I d'Inghilterra. Vedova del duca di Castiglione del Lago Fulvio Alessandro della Corgna, si risposò con il conte Mario, da cui ebbe tre figli: l'erede Ulderico, Vittoria (coniugata Orsini de' Cavalieri Sannesi e madre del principe Emilio) e Anna Maria Naro.
Scavolino
Piuttosto scarse sono le informazioni precedenti l'anno 1000. La prima menzione di Scavolino è fatta nel diploma di Ottone I datato 962, documento che i più ritengono essere però un falso. La successiva citazione della frazione è in un testamento del Conte Girardo di Bertinoro datato 1062 dove, fra i castelli lasciati in eredità al figlio, risulta esservi anche Scavolino. Prima del 1343 il castello rimase di proprietà dei Montefeltro: a quest'anno è infatti datato l'acquisto di metà della struttura da parte del conte Nerio Carpegna. In un documento dell'anno 1371, che attribuisce la proprietà del castello a Rinalduccio Carpegna e Bandino Carpegna, è scritto che nell'area prossima al castello si contavano diciotto famiglie. Da questo periodo Scavolino fu per lungo tempo senza dubbio possesso dei conti di Carpegna. Nel 1458, a seguito dell'alleanza fra i Carpegna ed i Malatesta, Federico da Montefeltro, preoccupato dalla vicinanza dello storico nemico, cinse d'assedio i castelli dei Carpegna, forte dell'appoggio della Chiesa e di Alfonso d'Aragona, re di Napoli. Le guerre si conclusero nel 1462 con la disfatta dei Malatesta sul Cesano. Il castello di Scavolino, come la gran parte dei possedimenti carpinei, venne saccheggiato dalle truppe di Federico d'Urbino. A seguito dei trattati di pace e delle divergenze in seno agli stessi Carpegna sulla politica delle alleanze, il 4 dicembre 1463 il castello di Scavolino passò assieme a quelli di Gattara, Bascio e Miratoio nelle mani del Conte Francesco. Ben presto, nel 1465, a costui successe il figlio Ugo che portò avanti un valido lavoro diplomatico sfociato nel 1484 con la concessione alla Contea della protezione papale da parte di Innocenzo VIII e con il patto d'accomandigia con la Repubblica Fiorentina stipulato il 26 marzo 1490. Nel 1491, a seguito della rivendicazione di Giannicolò Carpegna, il duca d'Urbino invase la Contea, ma dovette recedere dai suoi propositi a seguito dell'intervento di Firenze. Al Conte Francesco successe il figlio secondogenito Tommaso, che fece costruire il nuovo castello e bonificò il lago che si trovava ai piedi della rocca trasformandolo in un'area tutt'oggi utilizzata per le coltivazioni. Tommaso si distinse come abilissimo diplomatico sapendosi destreggiare con abilità fra i potenti che si contendevano le terre limitrofe (il Duca d'Urbino e il Granduca di Toscana) e riuscendo persino nell'intento di allargare i confini della contea. Alla sua morte, avvenuta il 21 luglio 1610, la sua salma fu sepolta nella Chiesa Plebale di Scavolino, in quella che è oggi la chiesa dedicata a Santa Mustiola. Vale la pena di ricordare quello che fu probabilmente il più famoso dei figli di Tommaso: il quartogenito Ulderico Carpegna, cardinale della Chiesa cattolica entrato nella rosa dei papabili nel conclave dal quale uscì papa Alessandro VII. La Contea fu ereditata dal terzogenito Mario. Nel 1685 Leopoldo I Imperatore d'Austria insignì del titolo di Principe del Sacro Romano Impero Ulderico di Scavolino, per cui anche i suoi successori poterono fregiarsi del titolo di Principe. Questi, nel 1682 avrebbe trattato con i ministri di Francia la cessione della Contea di Scavolino, provocando così la reazione del Cardinale Gaspare di Carpegna che acquistò Miratoio facendo recedere Ulderico dai propri propositi. Alla sua morte, nel 1728, Ulderico non aveva eredi diretti e si scatenò la lotta per la successione. Questa si risolse il 31 agosto 1741, quando la spuntò il marchese Orsini. La stirpe si protrasse fino al 7 maggio 1817; con la morte dell'ultima contessa di Scavolino si ebbe infatti la riunificazione dei due feudi che vennero devoluti nel 1819 alla Santa Sede con l'istituzione di un Comune facente capo a Scavolino. La sede del comune fu spostata a Bascio a seguito delle elezioni generali del 26 settembre 1920, quando vennero eletti solo 4 rappresentanti scavolinesi contro gli 11 di Bascio e Gattara. La popolazione del capoluogo storico non fu felice della novità. A seguito dei forti attriti fra Scavolino e Bascio venne modificato il nome del Comune come "Comune di Scavolino sede di Bascio". Questo non fu che il preludio alla soppressione del Comune, che avvenne per Regio Decreto il 1º novembre 1928 con l'annessione a Pennabilli. Nel 1460 la contea di Scavolino si staccò da Carpegna con Ugo, cugino di Lamberto che divise i territori: sottoscrisse l'atto di scissione tre anni dopo con il conte Giovanni II; nel 1490, poi, per maggiore sicurezza e tutela, concluse un accordo di accomandigia con la repubblica di Firenze.[12] Il conte Tommaso (1560-1610) trasferì la residenza da Gattara a Scavolino, dove abbellì il borgo e fece erigere il possente palazzo-fortezza (di cui, sopravvissuto fino ai primi del Novecento, rimangono solo i ruderi): emanò un nuovo statuto, riunendo le norme volute dai predecessori.[13] Nel 1685 la contea fu elevata a principato con diploma dell'imperatore Leopoldo I d'Asburgo: Ulderico sarà il primo a fregiarsi del titolo di principe del S. R. I. e di Bascio. Privo di figli, nel 1731 Ulderico trasmise il principato al nipote Emilio Orsini, figlio della sorella Vittoria.[14] Ulderico II sarà l'ultimo reggente fino al 1797 a causa dell'occupazione napoleonica: ritornerà nel 1814 per morire poco dopo. Il 7 maggio 1817 scomparve la vedova Anna Girolama e, nel 1819, i due feudi dei Carpegna furono annessi allo Stato Pontificio. Il luogo di sepoltura dei principi di Scavolino era nella chiesa di Santa Mustiola.[15] Da ricordare la madre del primo principe Ulderico, Teresa Dudley (1623-1698), figlia di Robert, conte di Warwick e duca di Northumberland (1574-1649) a sua volta figlio di Robert, conte di Leicester (1532-1588), favorito della regina Elisabetta I d'Inghilterra. Vedova del duca di Castiglione del Lago Fulvio Alessandro della Corgna, si risposò con il conte Mario, da cui ebbe tre figli: l'erede Ulderico, Vittoria (coniugata Orsini de' Cavalieri Sannesi e madre del principe Emilio) e Anna Maria Naro.
La Contea di Gattara è un'antica contea italiana. È solo di recente che si utilizza il toponimo Gattara, in passato si utilizzava Gattaia. È ipotizzabile che gattaia non derivi dall'italiano luogo dei Gatti ma dal celtico "Gat" bosco. Il luogo che oggi viene indicato come Contea di Gattara era già noto a partire dalla seconda età del Ferro, tra il VI e il IV secolo a.C. Numerosi sono i reperti d'età romana che attestano la presenza di alcune fattorie nelle località di Pierozzi e del Lago di Gattara, vicine a Gattara.[3] la prima notizia del castello di Gattara risale al 1145. Segue un documento del 1209, con il quale apprendiamo che il castello di Gattara viene dato in concessione dallo Stato della Chiesa alla famiglia dei conti di Carpegna dietro pagamento di un affitto. Alleatisi con la città di Rimini i signori di Gattara nel 1216 prendono parte alla guerra che coinvolse Rimini, opposta a Cesena e Bologna. Nel 1226 il conte Ugo di Carpegna, signore di Gattara, con proprio esercito, scende nuovamente in campo in favore di Rimini e Ravenna contro la Guelfa Faenza. Con una politica di espansione nel 1240, i conti di Carpegna Ranieri e Guido sottraggono a Badia Tedalda i castelli di: Santa Sofia, Cicognaia, Monte Rotondo, e il villaggio di Vill'Arsicci.[4] Nel 1256 il conte Guido di Carpegna, celebrato da Dante Alighieri, in nome di tutta la parentela, stipula un'alleanza con Città di Castello, obbligandosi ad aiutarsi l'un l'altro con mille fanti e venti cavalli in caso di necessità, non poco per gli standard dell'epoca.[5] Dopo la caduta della casata sveva (1266), la famiglia dei conti di Carpegna si divide: da una parte i conti di Pietracuta (ghibellini) dall'altra i conti di Gattara (guelfi). Ribaldo di Gattara, che hanno il dominio su questo castello in concessione proprio della Chiesa, è di tendenza guelfa. A ragion di questo vediamo che nel 1308 è capitano del popolo, nella guelfa Firenze. Dopo la morte di Pietro di Gattara nel 1409, la contea passò a Galeazzo Malatesta, ma viene ricomprata poco dopo dai conti di Carpegna. Seguì la lotta tra Malatesta e Federico da Montefeltro, il quale con il suo esercito comandato dal Piccinino conquistò molti castelli fedeli a Gattara, tra cui quelli di Scavolino, Miratoio, Bascio. Di Gattara, fu conquistato il borgo ma si salvò la rocca. Sigismondo Pandolfo Malatesta con i suoi alleati, venne sconfitto definitivamente nella battaglia del Cesano (1462), presso Senigallia, il 13 agosto 1462. La contea di Gattara verrà comunque risparmiata nonostante la sconfitta. Dopo il trattato del 1463, Gattara si separa nuovamente da Carpegna, ma Gattara e Carpegna cercano le stesse alleanze come quella 1484, dove entrambe chiesero la protezione del papa Innocenzo VIII. Alle fine si allearono con Firenze nel 1490. La "contea imperiale di Scavolino e Gattara" appartenne ai conti di Carpegna, quando, nel 1682 per i servigi resi nelle guerre contro i turchi, il conte Ulderico venne elevato dall'imperatore a principe di Bascio e del S.R.I. con voto personale al Reichstag imperiale (1682). Nel 1691 con l'invasione toscana del principato per un conflitto nato con i marchesi Colloredo di Santa Sofia di Marecchia, il principe chiese aiuto all'imperatore che intimò il ritiro delle truppe fiorentine. Privo di figli, nominò erede il nipote Emilio dei marchesi Orsini de' Cavalieri Sannesi (1728). Alla sua morte a Parigi nel 1731, tuttavia, si scatenò un'aspra lotta di successione che comportò poi l'occupazione da parte delle truppe imperiali e toscane il 2 aprile 1748 insieme alla contigua contea di Carpegna Castellaccia. Dal 1741 il principe Emilio ricevette, comunque, la contea di Scavolino fino al 1817, per passare poi nel 1819 al Papa
Gattaia
La Contea di Gattara è un'antica contea italiana. È solo di recente che si utilizza il toponimo Gattara, in passato si utilizzava Gattaia. È ipotizzabile che gattaia non derivi dall'italiano luogo dei Gatti ma dal celtico "Gat" bosco. Il luogo che oggi viene indicato come Contea di Gattara era già noto a partire dalla seconda età del Ferro, tra il VI e il IV secolo a.C. Numerosi sono i reperti d'età romana che attestano la presenza di alcune fattorie nelle località di Pierozzi e del Lago di Gattara, vicine a Gattara.[3] la prima notizia del castello di Gattara risale al 1145. Segue un documento del 1209, con il quale apprendiamo che il castello di Gattara viene dato in concessione dallo Stato della Chiesa alla famiglia dei conti di Carpegna dietro pagamento di un affitto. Alleatisi con la città di Rimini i signori di Gattara nel 1216 prendono parte alla guerra che coinvolse Rimini, opposta a Cesena e Bologna. Nel 1226 il conte Ugo di Carpegna, signore di Gattara, con proprio esercito, scende nuovamente in campo in favore di Rimini e Ravenna contro la Guelfa Faenza. Con una politica di espansione nel 1240, i conti di Carpegna Ranieri e Guido sottraggono a Badia Tedalda i castelli di: Santa Sofia, Cicognaia, Monte Rotondo, e il villaggio di Vill'Arsicci.[4] Nel 1256 il conte Guido di Carpegna, celebrato da Dante Alighieri, in nome di tutta la parentela, stipula un'alleanza con Città di Castello, obbligandosi ad aiutarsi l'un l'altro con mille fanti e venti cavalli in caso di necessità, non poco per gli standard dell'epoca.[5] Dopo la caduta della casata sveva (1266), la famiglia dei conti di Carpegna si divide: da una parte i conti di Pietracuta (ghibellini) dall'altra i conti di Gattara (guelfi). Ribaldo di Gattara, che hanno il dominio su questo castello in concessione proprio della Chiesa, è di tendenza guelfa. A ragion di questo vediamo che nel 1308 è capitano del popolo, nella guelfa Firenze. Dopo la morte di Pietro di Gattara nel 1409, la contea passò a Galeazzo Malatesta, ma viene ricomprata poco dopo dai conti di Carpegna. Seguì la lotta tra Malatesta e Federico da Montefeltro, il quale con il suo esercito comandato dal Piccinino conquistò molti castelli fedeli a Gattara, tra cui quelli di Scavolino, Miratoio, Bascio. Di Gattara, fu conquistato il borgo ma si salvò la rocca. Sigismondo Pandolfo Malatesta con i suoi alleati, venne sconfitto definitivamente nella battaglia del Cesano (1462), presso Senigallia, il 13 agosto 1462. La contea di Gattara verrà comunque risparmiata nonostante la sconfitta. Dopo il trattato del 1463, Gattara si separa nuovamente da Carpegna, ma Gattara e Carpegna cercano le stesse alleanze come quella 1484, dove entrambe chiesero la protezione del papa Innocenzo VIII. Alle fine si allearono con Firenze nel 1490. La "contea imperiale di Scavolino e Gattara" appartenne ai conti di Carpegna, quando, nel 1682 per i servigi resi nelle guerre contro i turchi, il conte Ulderico venne elevato dall'imperatore a principe di Bascio e del S.R.I. con voto personale al Reichstag imperiale (1682). Nel 1691 con l'invasione toscana del principato per un conflitto nato con i marchesi Colloredo di Santa Sofia di Marecchia, il principe chiese aiuto all'imperatore che intimò il ritiro delle truppe fiorentine. Privo di figli, nominò erede il nipote Emilio dei marchesi Orsini de' Cavalieri Sannesi (1728). Alla sua morte a Parigi nel 1731, tuttavia, si scatenò un'aspra lotta di successione che comportò poi l'occupazione da parte delle truppe imperiali e toscane il 2 aprile 1748 insieme alla contigua contea di Carpegna Castellaccia. Dal 1741 il principe Emilio ricevette, comunque, la contea di Scavolino fino al 1817, per passare poi nel 1819 al Papa
La famiglia Ubaldini ebbe molti membri illustri, tra i quali spiccano il cardinale Ottaviano degli Ubaldini, l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini e Maghinardo del Frassino. Il cardinale fu un uomo estremamente potente. Con lui il dominio degli Ubaldini, eretto a contea, si estese fino al castello della Carda presso Apecchio, nelle Marche (a possedere il castello fu il ramo omonimo della famiglia, gli Ubaldini della Carda, mentre il ramo dominante nel Mugello era quello degli Ubaldini della Pila). L'ultimo rappresentante degli Ubaldini della Pila, Giovanni D'Azzo, fuggì dal Mugello e si rifugiò presso gli Ubaldini della Carda, conti di Apecchio e Pecorari. Ad Apecchio, gli Ubaldini tennero la contea fino al 1752, quando morto Federico II senza eredi diretti, il feudo fu repentinamente occupato dalle truppe papali.
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Apecchio
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La famiglia Ubaldini ebbe molti membri illustri, tra i quali spiccano il cardinale Ottaviano degli Ubaldini, l'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini e Maghinardo del Frassino. Il cardinale fu un uomo estremamente potente. Con lui il dominio degli Ubaldini, eretto a contea, si estese fino al castello della Carda presso Apecchio, nelle Marche (a possedere il castello fu il ramo omonimo della famiglia, gli Ubaldini della Carda, mentre il ramo dominante nel Mugello era quello degli Ubaldini della Pila). L'ultimo rappresentante degli Ubaldini della Pila, Giovanni D'Azzo, fuggì dal Mugello e si rifugiò presso gli Ubaldini della Carda, conti di Apecchio e Pecorari. Ad Apecchio, gli Ubaldini tennero la contea fino al 1752, quando morto Federico II senza eredi diretti, il feudo fu repentinamente occupato dalle truppe papali.
MALVICINI, Malvicino. - Conte di Bagnacavallo, nel Ravennate, nacque intorno agli anni Sessanta del secolo XII. La sua posizione nell'albero genealogico della famiglia rimane molto incerta. Lo storico bagnacavallese Balduzzi lo ha ritenuto figlio di Arardo (e fratello di un altro Arardo morto nel 1181), padre di Guido "Filiarardi" e quindi nonno dei fratelli Guido e Ruggero che furono protagonisti della vita ravennate intorno alla metà del Duecento; Fasoli, sulla base del fatto che un Malvicino e un Arardo effettivamente fratelli sono ricordati nel 1181 in una rinnovazione d'enfiteusi concessa già nel 1118 ai fratelli Alberto "Malabocca" e Guido, dell'altro ramo dei conti Malvicini, preferisce farli discendere da questo Alberto. I
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Bagnacavallo
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MALVICINI, Malvicino. - Conte di Bagnacavallo, nel Ravennate, nacque intorno agli anni Sessanta del secolo XII. La sua posizione nell'albero genealogico della famiglia rimane molto incerta. Lo storico bagnacavallese Balduzzi lo ha ritenuto figlio di Arardo (e fratello di un altro Arardo morto nel 1181), padre di Guido "Filiarardi" e quindi nonno dei fratelli Guido e Ruggero che furono protagonisti della vita ravennate intorno alla metà del Duecento; Fasoli, sulla base del fatto che un Malvicino e un Arardo effettivamente fratelli sono ricordati nel 1181 in una rinnovazione d'enfiteusi concessa già nel 1118 ai fratelli Alberto "Malabocca" e Guido, dell'altro ramo dei conti Malvicini, preferisce farli discendere da questo Alberto. I
Le alterne vicende dei primi anni del Cinquecento, a seguito dell'occupazione del Valentino, portano Solarolo a uscire dall'orbita faentina, essendo "il Castello con le sue ville" concesso in pegno ai Gonzaga nel 1514; due anni dopo inizia il reale dominio della Casa di Mantova che si protrae fino al 1573, con l'intermezzo del governo diretto di Isabella D'Este (1529 - 1539) in seguito a scambio di proprietà col marito Francesco Gonzaga. I dieci anni di Isabella, fervidi di nuove opere e commerci, sono dettagliatamente documentati nella nutrita corrispondenza epistolare che si conserva nell'Archivio di Stato di Mantova. Terminata la concessione del feudo, Solarolo dal 1574 diviene 'Governo di Consulta', cioè Comunità autonoma presieduta da un governatore nominato da Roma, facente parte della Provincia o Legazione di Romagna,
Solarolo
Le alterne vicende dei primi anni del Cinquecento, a seguito dell'occupazione del Valentino, portano Solarolo a uscire dall'orbita faentina, essendo "il Castello con le sue ville" concesso in pegno ai Gonzaga nel 1514; due anni dopo inizia il reale dominio della Casa di Mantova che si protrae fino al 1573, con l'intermezzo del governo diretto di Isabella D'Este (1529 - 1539) in seguito a scambio di proprietà col marito Francesco Gonzaga. I dieci anni di Isabella, fervidi di nuove opere e commerci, sono dettagliatamente documentati nella nutrita corrispondenza epistolare che si conserva nell'Archivio di Stato di Mantova. Terminata la concessione del feudo, Solarolo dal 1574 diviene 'Governo di Consulta', cioè Comunità autonoma presieduta da un governatore nominato da Roma, facente parte della Provincia o Legazione di Romagna,

Teatri

1758: Rossini di Lugo 1776: Comunale di Forlì (distrutto nel 1944) 1780: Masini di Faenza 1810: Stignani di Imola 1829: Pedrini di Brisighella 1837: Dragoni di Meldola 1840: Goldoni di Bagnacavallo 1846: Bonci di Cesena 1852: Alighieri di Ravenna 1860: Comunale di Cervia 1870: Petrella di Longiano 1881: Verdi di Forlimpopoli 1887: Comunale di Russi I teatri di Bagnacavallo, Brisighella e Cervia entreranno in funzione verso la fine dell'Ottocento.
Il Teatro comunale "Walter Chiari" (precedentemente Teatro comunale) è un teatro situato a Cervia. Le prime testimonianze di uno spazio destinato alle rappresentazioni teatrali risalgono ai primi anni del Settecento quando viene ricordato un piccolo "teatro Comunitativo per la gioventù," sistemato nel locale un tempo occupato dalla tipografia Saporetti. Resosi troppo angusto, fu edificato un nuovo teatro nel Baluardo est della città, ma prese fuoco nel febbraio del 1851 con la conseguente distruzione delle strutture lignee, degli arredi e delle scene. Questo teatro, resosi inagibile, rimase chiuso per diversi anni. Nel 1858 dopo varie controversie, il Consiglio Comunale decise di porre mano alla ricostruzione del teatro nel Baluardo Ovest detto "dei Carabinieri". Purtroppo i fatti relativi alla seconda guerra d'indipendenza italiana ritardarono la realizzazione del teatro, i cui lavori iniziarono nel 1860 come attesta una lapide posta sulla facciata. Vari ed importanti sono stati i restauri al teatro: nel 1875 dopo il terremoto, nel 1894 quando il sistema di illuminazioni passò dalle candele a petrolio, e nel 1904 ad acetilene e nel 1922 al sistema elettrico. Divenuto inagibile nel 1951, in seguito divenne magazzino per la distribuzione di generi di prima necessità per gli alluvionati del Polesine ospitati nelle Colonie Marittime e nel 1983 il teatro fu dichiarato di nuovo inagibile. Dopo vari restauri iniziati nel 1985 fu inaugurato nel 1994.
Teatro Comunale - Cervia
125 Via XX Settembre
Il Teatro comunale "Walter Chiari" (precedentemente Teatro comunale) è un teatro situato a Cervia. Le prime testimonianze di uno spazio destinato alle rappresentazioni teatrali risalgono ai primi anni del Settecento quando viene ricordato un piccolo "teatro Comunitativo per la gioventù," sistemato nel locale un tempo occupato dalla tipografia Saporetti. Resosi troppo angusto, fu edificato un nuovo teatro nel Baluardo est della città, ma prese fuoco nel febbraio del 1851 con la conseguente distruzione delle strutture lignee, degli arredi e delle scene. Questo teatro, resosi inagibile, rimase chiuso per diversi anni. Nel 1858 dopo varie controversie, il Consiglio Comunale decise di porre mano alla ricostruzione del teatro nel Baluardo Ovest detto "dei Carabinieri". Purtroppo i fatti relativi alla seconda guerra d'indipendenza italiana ritardarono la realizzazione del teatro, i cui lavori iniziarono nel 1860 come attesta una lapide posta sulla facciata. Vari ed importanti sono stati i restauri al teatro: nel 1875 dopo il terremoto, nel 1894 quando il sistema di illuminazioni passò dalle candele a petrolio, e nel 1904 ad acetilene e nel 1922 al sistema elettrico. Divenuto inagibile nel 1951, in seguito divenne magazzino per la distribuzione di generi di prima necessità per gli alluvionati del Polesine ospitati nelle Colonie Marittime e nel 1983 il teatro fu dichiarato di nuovo inagibile. Dopo vari restauri iniziati nel 1985 fu inaugurato nel 1994.
Il Teatro Carlo Goldoni è un teatro situato a Bagnacavallo. Nell'anno 1648 "Al lato destro della Porta d'entrata della Porta di sopra" fu costruita la Fabbrica dell'Abbondanza, dove avevano sede i magazzini di raccolta del frumento, che ospitò nel piano rialzato un teatrino tutto in legno a palchetti. Di questo teatro, si hanno notizie nella seduta del Consiglio dell'anno 1698, quando si deliberò di darlo in cessione durante il carnevale alle maestranze cittadine per alcune rappresentazioni, a patto di trattenere il corredo scenografico. Nel marzo del 1796, si deliberò di acquistare il Palazzo Brandolini, dato che il teatro pubblico “non solo formato tutto di legname”. Demolita la parte del palazzo Brandolini che guardava la Piazza, fu costruito il nuovo teatro a pianta rettangolare di fianco al Palazzo Comunale. Nel 1844, finalmente il teatro fu terminato ed inaugurato il 27 settembre 1845. Nel 1907 il teatro, che fino ad allora era stato chiamato "Teatro nuovo" o "Teatro comunale", fu intitolato a Carlo Goldoni poiché per anni il padre del famoso commediografo aveva esercitato il servizio di medico condotto in paese (è sepolto nella chiesa di San Girolamo).
Accademia Perduta - Teatro Goldoni
17 P.za della Libertà
Il Teatro Carlo Goldoni è un teatro situato a Bagnacavallo. Nell'anno 1648 "Al lato destro della Porta d'entrata della Porta di sopra" fu costruita la Fabbrica dell'Abbondanza, dove avevano sede i magazzini di raccolta del frumento, che ospitò nel piano rialzato un teatrino tutto in legno a palchetti. Di questo teatro, si hanno notizie nella seduta del Consiglio dell'anno 1698, quando si deliberò di darlo in cessione durante il carnevale alle maestranze cittadine per alcune rappresentazioni, a patto di trattenere il corredo scenografico. Nel marzo del 1796, si deliberò di acquistare il Palazzo Brandolini, dato che il teatro pubblico “non solo formato tutto di legname”. Demolita la parte del palazzo Brandolini che guardava la Piazza, fu costruito il nuovo teatro a pianta rettangolare di fianco al Palazzo Comunale. Nel 1844, finalmente il teatro fu terminato ed inaugurato il 27 settembre 1845. Nel 1907 il teatro, che fino ad allora era stato chiamato "Teatro nuovo" o "Teatro comunale", fu intitolato a Carlo Goldoni poiché per anni il padre del famoso commediografo aveva esercitato il servizio di medico condotto in paese (è sepolto nella chiesa di San Girolamo).
Teatro-cinema a Faenza L’inaugurazione ebbe luogo la sera del 29 maggio 1910 ed il nuovo teatro fu dedicato al musicista faentino Giuseppe Sarti. Nel dicembre del 1933 nella sala fu messa la macchina cinematografica e nella nuova veste di cinema il locale fu definito "il Re dei cinematografi". Fin dall'inizio della sua attività recente (inizio anni '60) la progammazione del Sarti ha tenuto in particolare riguardo il cinema di qualità fino a diventare ai giorni nostri un vero e proprio punto di riferimento per il cinema d'essai.
Cinema Sarti
10 Via Carlo Cesare Scaletta
Teatro-cinema a Faenza L’inaugurazione ebbe luogo la sera del 29 maggio 1910 ed il nuovo teatro fu dedicato al musicista faentino Giuseppe Sarti. Nel dicembre del 1933 nella sala fu messa la macchina cinematografica e nella nuova veste di cinema il locale fu definito "il Re dei cinematografi". Fin dall'inizio della sua attività recente (inizio anni '60) la progammazione del Sarti ha tenuto in particolare riguardo il cinema di qualità fino a diventare ai giorni nostri un vero e proprio punto di riferimento per il cinema d'essai.
Forlimpopoli Il piccolo Teatro comunale rappresenta ancora oggi un unicum fra le strutture destinate allo spettacolo sorte in Romagna nel corso dell’Ottocento. Inaugurato nel 1830, il teatro occupa quello che doveva essere il ‘salone d’onore’ della Rocca e viene inizialmente intitolato a Carlo Goldoni. Ma già nel 1878 il teatro è restaurato e ampliato con l’intento di adeguarlo alle moderne rappresentazioni teatrali; anche l’originaria struttura a palchetti viene sostituita da due ordini di gallerie sostenute da esili colonnine in ghisa. La decorazione della sala è andata parzialmente perduta. Il nuovo teatro è inaugurato il 18/10/1882 con una serie di rappresentazioni di opere buffe e di balli. Nei primi decenni del Novecento la struttura è stata adattata a sala per proiezioni cinematografiche. Un importante intervento di restauro conclusosi nel 1982 ha restituito il piccolo teatro al suo antico decoro. All’interno della sala una lapide rievoca la celeberrima incursione della banda del Passatore, avvenuta nella notte del 25/1/1851.
Cinema Teatro Arena Verdi
Forlimpopoli Il piccolo Teatro comunale rappresenta ancora oggi un unicum fra le strutture destinate allo spettacolo sorte in Romagna nel corso dell’Ottocento. Inaugurato nel 1830, il teatro occupa quello che doveva essere il ‘salone d’onore’ della Rocca e viene inizialmente intitolato a Carlo Goldoni. Ma già nel 1878 il teatro è restaurato e ampliato con l’intento di adeguarlo alle moderne rappresentazioni teatrali; anche l’originaria struttura a palchetti viene sostituita da due ordini di gallerie sostenute da esili colonnine in ghisa. La decorazione della sala è andata parzialmente perduta. Il nuovo teatro è inaugurato il 18/10/1882 con una serie di rappresentazioni di opere buffe e di balli. Nei primi decenni del Novecento la struttura è stata adattata a sala per proiezioni cinematografiche. Un importante intervento di restauro conclusosi nel 1982 ha restituito il piccolo teatro al suo antico decoro. All’interno della sala una lapide rievoca la celeberrima incursione della banda del Passatore, avvenuta nella notte del 25/1/1851.
Predappio Risale agli anni Trenta del secolo appena trascorso l'edificazione di questo teatro posto in prossimità del corso principale di Predappio. L'edificio fu realizzato secondo i canoni previsti all'epoca per le sedi destinate alla pubblica ricreazione. Originariamente fu infatti denominato Opera Nazionale Dopolavoro, successivamente assunse il nome di Cinema Italia. Al suo interno, oltre alla sala per gli spettacoli teatrali e cinematografici trovavano posto ambienti sia per gli uffici che per altre attività ricreative e di svago. La struttura era completata da un parco esterno, posto a sinistra dell'edificio, in cui si svolgevano attività estive e giochi all'aperto. Il Cinema Italia è stato attivo fino alla fine degli anni Settanta. Dopo un periodo di chiusura, a partire dagli anni Ottanta, viene avviato dall'Amministrazione Comunale un progetto per la sua riqualificazione. Il complessivo intervento di recupero ha realizzato una struttura polivalente dedicata alle attività teatrali, cinematografiche, convegnistiche, ha inoltre previsto uno spazio destinato alla biblioteca. L'inaugurazione dell'edificio così recuperato ha avuto luogo nel 1995.
Cinema Teatro Comunale
13-17 Via G. Marconi
Predappio Risale agli anni Trenta del secolo appena trascorso l'edificazione di questo teatro posto in prossimità del corso principale di Predappio. L'edificio fu realizzato secondo i canoni previsti all'epoca per le sedi destinate alla pubblica ricreazione. Originariamente fu infatti denominato Opera Nazionale Dopolavoro, successivamente assunse il nome di Cinema Italia. Al suo interno, oltre alla sala per gli spettacoli teatrali e cinematografici trovavano posto ambienti sia per gli uffici che per altre attività ricreative e di svago. La struttura era completata da un parco esterno, posto a sinistra dell'edificio, in cui si svolgevano attività estive e giochi all'aperto. Il Cinema Italia è stato attivo fino alla fine degli anni Settanta. Dopo un periodo di chiusura, a partire dagli anni Ottanta, viene avviato dall'Amministrazione Comunale un progetto per la sua riqualificazione. Il complessivo intervento di recupero ha realizzato una struttura polivalente dedicata alle attività teatrali, cinematografiche, convegnistiche, ha inoltre previsto uno spazio destinato alla biblioteca. L'inaugurazione dell'edificio così recuperato ha avuto luogo nel 1995.
Palazzo Dolcini teatro Mercato Saraceno Palazzo Dolcini sorge nel cuore di Mercato Saraceno, di cui rappresenta l'edificio di maggiore pregio artistico. Il progetto risale al 1924; i lavori di costruzione iniziarono nel 1926 e furono terminati l'anno successivo. Concepito e realizzato secondo gli schemi architettonici dello stile Liberty, non indulge però nel gusto per l'orpello. Le decorazioni sia all'interno sia all'esterno, hanno cromatismi tenui e delicati. Questa caratteristica ne fa un esempio con pochi riscontri in Italia. Pensato inizialmente come sede di partito, inteso comunque nell'accezione più vasta di struttura per il tempo libero, è stato successivamente destinato dal Comune a luogo per pubblici spettacoli. Negli anni Sessanta fu adibito a scuola, per poi rimanere nell'abbandono più totale. A partire dal 1983 furono iniziati i lavori di restauro e fu dedicato a Ugo Dolcini, l'architetto che l'aveva progettato. Dal 2008 al 2014 il teatro è stato oggetto di riqualificazione sismica ed energetica e oggi è un moderno centro culturale polivalente.
Palazzo Dolcini
2 Viale Giacomo Matteotti
Palazzo Dolcini teatro Mercato Saraceno Palazzo Dolcini sorge nel cuore di Mercato Saraceno, di cui rappresenta l'edificio di maggiore pregio artistico. Il progetto risale al 1924; i lavori di costruzione iniziarono nel 1926 e furono terminati l'anno successivo. Concepito e realizzato secondo gli schemi architettonici dello stile Liberty, non indulge però nel gusto per l'orpello. Le decorazioni sia all'interno sia all'esterno, hanno cromatismi tenui e delicati. Questa caratteristica ne fa un esempio con pochi riscontri in Italia. Pensato inizialmente come sede di partito, inteso comunque nell'accezione più vasta di struttura per il tempo libero, è stato successivamente destinato dal Comune a luogo per pubblici spettacoli. Negli anni Sessanta fu adibito a scuola, per poi rimanere nell'abbandono più totale. A partire dal 1983 furono iniziati i lavori di restauro e fu dedicato a Ugo Dolcini, l'architetto che l'aveva progettato. Dal 2008 al 2014 il teatro è stato oggetto di riqualificazione sismica ed energetica e oggi è un moderno centro culturale polivalente.
Forlì Il Teatro San Luigi è uno dei più antiche della città ed uno dei pochi sopravvissuti alla distruzione della Seconda guerra mondiale. L'edificio è un tipico esempio di architettura forlivese ottocentesca. Sulla facciata, contraddistinta dalla sobrietà delle linee architettoniche, si trova un'ampia finestra "per male", divisa in 2 e impreziosita da colonna tuscaniche. Venne costruito nel 1893 e per molti anni rimase punto di riferimento culturale della città. Il teatro, trasformato nel 1945 in sala cinematografica con il nome di "Cinema Italia", fu completamente ristrutturato nel 1965. Dopo essere stato chiuso nel 1979, nei primi anni 2000 è stato oggetto di un approfondito intervento di restauro e ammodernamento. Trasformato in sala multimediale, vent'anni dopo la chiusura è stato inaugurato nel gennaio del 2000. Da allora ospita stagioni teatrali e rassegne cinematografiche, nonché convegni e conferenze di pubblico interesse.
Sala San Luigi
14 Via Luigi Nanni
Forlì Il Teatro San Luigi è uno dei più antiche della città ed uno dei pochi sopravvissuti alla distruzione della Seconda guerra mondiale. L'edificio è un tipico esempio di architettura forlivese ottocentesca. Sulla facciata, contraddistinta dalla sobrietà delle linee architettoniche, si trova un'ampia finestra "per male", divisa in 2 e impreziosita da colonna tuscaniche. Venne costruito nel 1893 e per molti anni rimase punto di riferimento culturale della città. Il teatro, trasformato nel 1945 in sala cinematografica con il nome di "Cinema Italia", fu completamente ristrutturato nel 1965. Dopo essere stato chiuso nel 1979, nei primi anni 2000 è stato oggetto di un approfondito intervento di restauro e ammodernamento. Trasformato in sala multimediale, vent'anni dopo la chiusura è stato inaugurato nel gennaio del 2000. Da allora ospita stagioni teatrali e rassegne cinematografiche, nonché convegni e conferenze di pubblico interesse.
Bagno di Romagna È andato perduto invece il Teatro dei Ravviati di Bagno di Romagna, le cui origini risalivano al XVIII sec.. Situato in prossimità delle Terme di Sant'Agnese, fu fondato da alcuni facoltosi possidenti locali riuniti nell'Accademia dei Ravviati e la sua esistenza è attestata precedentemente al 1774. Ristrutturato completamente a metà dell'Ottocento ebbe una vivace attività teatrale, anche grazie alla presenza dei rinomati bagni termali. Nel 1963, dopo essere stato ceduto alle Terme vicine fu abbattuto per consentire l'ampliamento di queste ultime, nonostante fossero stati espressi i vincoli di tutela del patrimonio artistico e ambientale dall'autorità competente.
Teatro
25 Via Battistini
Bagno di Romagna È andato perduto invece il Teatro dei Ravviati di Bagno di Romagna, le cui origini risalivano al XVIII sec.. Situato in prossimità delle Terme di Sant'Agnese, fu fondato da alcuni facoltosi possidenti locali riuniti nell'Accademia dei Ravviati e la sua esistenza è attestata precedentemente al 1774. Ristrutturato completamente a metà dell'Ottocento ebbe una vivace attività teatrale, anche grazie alla presenza dei rinomati bagni termali. Nel 1963, dopo essere stato ceduto alle Terme vicine fu abbattuto per consentire l'ampliamento di queste ultime, nonostante fossero stati espressi i vincoli di tutela del patrimonio artistico e ambientale dall'autorità competente.
Il Teatro di tradizione Dante Alighieri è il principale teatro di Ravenna. Il teatro venne realizzato per volere dell'amministrazione comunale a seguito del progressivo degrado del principale teatro dell'epoca, il "Teatro Comunitativo". Nel 1838 l'amministrazione individuò presso la piazzetta degli Svizzeri il luogo ideale per la costruzione della nuova struttura. Dopo la prima progettazione di un edificio con facciata monumentale verso la piazza, il progetto definitivo del 1840, più ridotto, favorì l'orientamento longitudinale, con fronte verso la strada del Seminario vecchio, attualmente rinominata via Mariani. Nello stesso anno venne posata la prima pietra dell'edificio di ispirazione neoclassica, che ricordava nei tratti principali il teatro di Venezia. L'inaugurazione avvenne il 15/5/1852. Nel 1929 fu realizzato un adeguamento tecnico con la creazione del "golfo mistico", della galleria nei palchi di quart'ordine, ed il rinnovo dei camerini. Nei decenni seguenti l'Alighieri si ritagliò un posto non trascurabile fra i teatri della provincia italiana fino al primo dopoguerra. Gli anni 1940 e 1950 videro ancora un'intensa presenza di ottime compagnie di prosa e di rivista, mentre l'attività musicale si focalizzò su concerti cameristici per lo più di respiro locale. Nell'estate del 1959 venne interrotta l'attività per necessità di consolidamento delle strutture: vennero completamente rifatti la platea e il palcoscenico, rinnovate le tappezzerie e l'impianto di illuminazione, con la collocazione di un nuovo lampadario. Le attività ripresero dopo quasi otto anni, l'11/2/1967. Durante gli anni 1980 e anni 1990, altri restauri portarono al rifacimento della pavimentazione della platea, all'inserimento dell'aria condizionata, al rinnovo delle tappezzerie e all'adeguamento delle uscite, diventando sede ufficiale dei principali eventi del Ravenna Festival. Il Teatro Alighieri è sede della stagione di prosa, diretta e organizzata da Ravenna Teatro.
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Teatro Comunale Alighieri, Ravenna
2 Via Angelo Mariani
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Il Teatro di tradizione Dante Alighieri è il principale teatro di Ravenna. Il teatro venne realizzato per volere dell'amministrazione comunale a seguito del progressivo degrado del principale teatro dell'epoca, il "Teatro Comunitativo". Nel 1838 l'amministrazione individuò presso la piazzetta degli Svizzeri il luogo ideale per la costruzione della nuova struttura. Dopo la prima progettazione di un edificio con facciata monumentale verso la piazza, il progetto definitivo del 1840, più ridotto, favorì l'orientamento longitudinale, con fronte verso la strada del Seminario vecchio, attualmente rinominata via Mariani. Nello stesso anno venne posata la prima pietra dell'edificio di ispirazione neoclassica, che ricordava nei tratti principali il teatro di Venezia. L'inaugurazione avvenne il 15/5/1852. Nel 1929 fu realizzato un adeguamento tecnico con la creazione del "golfo mistico", della galleria nei palchi di quart'ordine, ed il rinnovo dei camerini. Nei decenni seguenti l'Alighieri si ritagliò un posto non trascurabile fra i teatri della provincia italiana fino al primo dopoguerra. Gli anni 1940 e 1950 videro ancora un'intensa presenza di ottime compagnie di prosa e di rivista, mentre l'attività musicale si focalizzò su concerti cameristici per lo più di respiro locale. Nell'estate del 1959 venne interrotta l'attività per necessità di consolidamento delle strutture: vennero completamente rifatti la platea e il palcoscenico, rinnovate le tappezzerie e l'impianto di illuminazione, con la collocazione di un nuovo lampadario. Le attività ripresero dopo quasi otto anni, l'11/2/1967. Durante gli anni 1980 e anni 1990, altri restauri portarono al rifacimento della pavimentazione della platea, all'inserimento dell'aria condizionata, al rinnovo delle tappezzerie e all'adeguamento delle uscite, diventando sede ufficiale dei principali eventi del Ravenna Festival. Il Teatro Alighieri è sede della stagione di prosa, diretta e organizzata da Ravenna Teatro.
Il Teatro Amintore Galli (fino al 1947 Teatro Vittorio Emanuele II è il principale teatro di Rimini. Inaugurato nel 1857, il teatro è stato pesantemente danneggiato dai bombardamenti alleati nel dicembre 1943. I saccheggi e le demolizione che seguirono nel dopoguerra ne lasceranno intatta solo la facciata e parte del foyer. Dopo una lunga e travagliata storia che vede tentativi di ricostruzioni, modifiche e destinazione ad altri usi, i lavori di ricostruzione veri e propri sono cominciati nel 2014 e si sono conclusi nell'ottobre del 2018, durante i quali sono emersi i resti di una basilica paleocristiana, che a oggi sono inclusi nel museo archeologico realizzato sotto al teatro assieme al Galli Multimediale, un innovativo progetto di museo a carattere storico-archeologico, finanziato in buona parte dalla Regione Emilia-Romagna, e una sezione interamente dedicata a uno dei principali volti musicali del passato quale è Giuseppe Verdi. La costruzione di un nuovo teatro a Rimini fu deliberata il 14/7:1840 nell'attuale Piazza Cavour (allora Piazza della Fonte), che fu preferita a Piazza Malatesta (allora Piazza del Corso), dopo che un'annosa discussione aveva diviso la città in fazioni, su quale fosse l'ubicazione più conveniente. Il retro del teatro si affacciava invece su Piazza Malatesta, fronteggiando Castel Sismondo. Nel 1839 era stato chiuso e atterrato il teatro in legno risalente al 1681, mentre l'esistente Teatro Buonarroti, costruito nel 1816, era in precarie condizioni tanto che ne fu deliberata la chiusura nel 1843. L'incarico per la progettazione del nuovo teatro fu affidato il 9/12/1840 e i lavori si conclusero definitivamente nel 1857. Fu solennemente inaugurato nello stesso anno con la prima dell'Aroldo di Giuseppe Verdi, diretta personalmente dal maestro. Lesionato dal terremoto del 1916, il teatro venne chiuso per restauri e riaperto nel 1923. Tra il 1928 e il 1931, vengono completati il ridotto e la galleria del piano superiore. Il 28/12/1943 il teatro fu gravemente danneggiato durante un bombardamento Alleato, con la distruzione del 90% di sala e palcoscenico. Nell'immediato dopoguerra i resti del teatro furono saccheggiati e il teatro stesso usato come "cava" per materiali da costruzione; vi fu inoltre la demolizione di parte dell'edificio. Nel 1959 quello che rimaneva della parte danneggiata, ovvero tutto l'edificio ad eccezione della facciata e del foyer, fu demolito. Tra il 1969 e il 1975 fu eseguito un criticato intervento di restauro, che vide la nascita al posto del ridotto della cosiddetta Sala Ressi, usata come sala consiliare. Il concorso bandito dal Comune di Rimini nel 1985 e "riavviato" nel 1992 vide vincere un progetto di stampo modernista. Approvato dalla giunta nel 1999, il progetto fu però largamente osteggiato dalla cittadinanza che chiedeva un restauro rispettoso del progetto originale. I lavori di restauro e ricostruzione iniziano ufficialmente nel 2014 e il 28/10/2018, si è avuta la riapertura del teatro.
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Teatro Amintore Galli
22 Piazza Cavour
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Il Teatro Amintore Galli (fino al 1947 Teatro Vittorio Emanuele II è il principale teatro di Rimini. Inaugurato nel 1857, il teatro è stato pesantemente danneggiato dai bombardamenti alleati nel dicembre 1943. I saccheggi e le demolizione che seguirono nel dopoguerra ne lasceranno intatta solo la facciata e parte del foyer. Dopo una lunga e travagliata storia che vede tentativi di ricostruzioni, modifiche e destinazione ad altri usi, i lavori di ricostruzione veri e propri sono cominciati nel 2014 e si sono conclusi nell'ottobre del 2018, durante i quali sono emersi i resti di una basilica paleocristiana, che a oggi sono inclusi nel museo archeologico realizzato sotto al teatro assieme al Galli Multimediale, un innovativo progetto di museo a carattere storico-archeologico, finanziato in buona parte dalla Regione Emilia-Romagna, e una sezione interamente dedicata a uno dei principali volti musicali del passato quale è Giuseppe Verdi. La costruzione di un nuovo teatro a Rimini fu deliberata il 14/7:1840 nell'attuale Piazza Cavour (allora Piazza della Fonte), che fu preferita a Piazza Malatesta (allora Piazza del Corso), dopo che un'annosa discussione aveva diviso la città in fazioni, su quale fosse l'ubicazione più conveniente. Il retro del teatro si affacciava invece su Piazza Malatesta, fronteggiando Castel Sismondo. Nel 1839 era stato chiuso e atterrato il teatro in legno risalente al 1681, mentre l'esistente Teatro Buonarroti, costruito nel 1816, era in precarie condizioni tanto che ne fu deliberata la chiusura nel 1843. L'incarico per la progettazione del nuovo teatro fu affidato il 9/12/1840 e i lavori si conclusero definitivamente nel 1857. Fu solennemente inaugurato nello stesso anno con la prima dell'Aroldo di Giuseppe Verdi, diretta personalmente dal maestro. Lesionato dal terremoto del 1916, il teatro venne chiuso per restauri e riaperto nel 1923. Tra il 1928 e il 1931, vengono completati il ridotto e la galleria del piano superiore. Il 28/12/1943 il teatro fu gravemente danneggiato durante un bombardamento Alleato, con la distruzione del 90% di sala e palcoscenico. Nell'immediato dopoguerra i resti del teatro furono saccheggiati e il teatro stesso usato come "cava" per materiali da costruzione; vi fu inoltre la demolizione di parte dell'edificio. Nel 1959 quello che rimaneva della parte danneggiata, ovvero tutto l'edificio ad eccezione della facciata e del foyer, fu demolito. Tra il 1969 e il 1975 fu eseguito un criticato intervento di restauro, che vide la nascita al posto del ridotto della cosiddetta Sala Ressi, usata come sala consiliare. Il concorso bandito dal Comune di Rimini nel 1985 e "riavviato" nel 1992 vide vincere un progetto di stampo modernista. Approvato dalla giunta nel 1999, il progetto fu però largamente osteggiato dalla cittadinanza che chiedeva un restauro rispettoso del progetto originale. I lavori di restauro e ricostruzione iniziano ufficialmente nel 2014 e il 28/10/2018, si è avuta la riapertura del teatro.
Il teatro Mariani dí Sant’Agata Feltria è un gioiello di teatro e la sua caratteristica è quella di essere completamente in legno, dalla cavea alle colonne portanti al palcoscenico. Questo elegante teatro settecentesco è sito all’interno del ‘Palazzone’ (attuale sede municipale), edificato nel 1605 per volere del marchese Orazio Fregoso, signore della Terra di Sant’Agata, sulla piazza principale del paese. Dalla documentazione archivistica emerge che fin dal XVII sec., all’interno di questo edificio, vi era un’ampia sala regolarmente concessa alla gioventù santagatese per fare commedie, rappresentazioni ed altro. La costruzione del teatro a noi pervenuto, risale al 1723, ma solo nel 1753 l’intera struttura teatrale risulta essere completata. L’assegnazione dei palchi avveniva per sorteggio secondo un sistema che ne garantiva la rotazione e fugava dissidi e contese. Tra il 1790 e il 1804 furo effettuati diversi lavori e nella seconda metà dell’Ottocento (1871-72), dopo un periodo di declino, a causa delle precarie condizioni statiche che si erano andate determinando, il teatro fu oggetto di imponenti lavori di restaurazione. Il rinnovamento dell’apparato decorativo dei palchi, del velario e del proscenio conferirono alla sala teatrale l’aspetto che tuttora la caratterizzano. L’inaugurazione del teatro rinnovato e dotato di un più moderno sistema di illuminazione, avvenne il 1/9/1872 con un concerto di gala vocale e strumentale; nella stessa occasione fu intitolato ad Angelo Mariani. Gli anni a seguire furono contrassegnati da un’intensa attività scenica, poi nel secondo dopoguerra il teatro fu adibito a cinematografo e negli anni Settanta del ‘900 fu chiuso in quanto privo dei requisiti minimi di sicurezza. Resterà chiuso per diversi anni versando in condizioni di vetustà e abbandono, penalizzato da un’intrinseca debolezza strutturale dovuta sia a fattori interni, ma soprattutto ad eventi esterni, quali movimenti franosi e fenomeni sismici che avevano interessato l’intero palazzo, o per meglio dire l’intera area. Tuttavia nel 1992 il grande Vittorio Gassman scelse proprio il teatro ‘Angelo Mariani’ per recitare e registrare per la RAI la Divina Commedia. Si legge sul sito del teatro che quando “si aprirono le porte al grande mattatore ed alla sua troupe, nei loro occhi si scorse un lampo di meraviglia. Il teatro era loro apparso in tutto il suo splendore di opera d'arte irripetibile. I lavori di restauro ne hanno consentito la riapertura il 14/9/2002. Dal febbraio 2010 il Teatro Angelo Mariani è gestito dal Comitato per la Salvaguardia ed il Decoro dei Beni Storici e Culturali di Sant'Agata Feltria, in collaborazione con l'Amministrazione Comunale. La stagione teatrale prevede la messa in scena di commedie, la realizzazione di concerti ed eventi d’intrattenimento culturale, inoltre il teatro è aperto alle visite del pubblico, alla stregua di un museo, con orario differenziato per l’estate e per l’inverno. Visitarlo è un obbligo per la bellezza e la grazia di questo antico e piccolo spazio nato all'inizio del XVII sec..
Teatro Angelo Mariani
Il teatro Mariani dí Sant’Agata Feltria è un gioiello di teatro e la sua caratteristica è quella di essere completamente in legno, dalla cavea alle colonne portanti al palcoscenico. Questo elegante teatro settecentesco è sito all’interno del ‘Palazzone’ (attuale sede municipale), edificato nel 1605 per volere del marchese Orazio Fregoso, signore della Terra di Sant’Agata, sulla piazza principale del paese. Dalla documentazione archivistica emerge che fin dal XVII sec., all’interno di questo edificio, vi era un’ampia sala regolarmente concessa alla gioventù santagatese per fare commedie, rappresentazioni ed altro. La costruzione del teatro a noi pervenuto, risale al 1723, ma solo nel 1753 l’intera struttura teatrale risulta essere completata. L’assegnazione dei palchi avveniva per sorteggio secondo un sistema che ne garantiva la rotazione e fugava dissidi e contese. Tra il 1790 e il 1804 furo effettuati diversi lavori e nella seconda metà dell’Ottocento (1871-72), dopo un periodo di declino, a causa delle precarie condizioni statiche che si erano andate determinando, il teatro fu oggetto di imponenti lavori di restaurazione. Il rinnovamento dell’apparato decorativo dei palchi, del velario e del proscenio conferirono alla sala teatrale l’aspetto che tuttora la caratterizzano. L’inaugurazione del teatro rinnovato e dotato di un più moderno sistema di illuminazione, avvenne il 1/9/1872 con un concerto di gala vocale e strumentale; nella stessa occasione fu intitolato ad Angelo Mariani. Gli anni a seguire furono contrassegnati da un’intensa attività scenica, poi nel secondo dopoguerra il teatro fu adibito a cinematografo e negli anni Settanta del ‘900 fu chiuso in quanto privo dei requisiti minimi di sicurezza. Resterà chiuso per diversi anni versando in condizioni di vetustà e abbandono, penalizzato da un’intrinseca debolezza strutturale dovuta sia a fattori interni, ma soprattutto ad eventi esterni, quali movimenti franosi e fenomeni sismici che avevano interessato l’intero palazzo, o per meglio dire l’intera area. Tuttavia nel 1992 il grande Vittorio Gassman scelse proprio il teatro ‘Angelo Mariani’ per recitare e registrare per la RAI la Divina Commedia. Si legge sul sito del teatro che quando “si aprirono le porte al grande mattatore ed alla sua troupe, nei loro occhi si scorse un lampo di meraviglia. Il teatro era loro apparso in tutto il suo splendore di opera d'arte irripetibile. I lavori di restauro ne hanno consentito la riapertura il 14/9/2002. Dal febbraio 2010 il Teatro Angelo Mariani è gestito dal Comitato per la Salvaguardia ed il Decoro dei Beni Storici e Culturali di Sant'Agata Feltria, in collaborazione con l'Amministrazione Comunale. La stagione teatrale prevede la messa in scena di commedie, la realizzazione di concerti ed eventi d’intrattenimento culturale, inoltre il teatro è aperto alle visite del pubblico, alla stregua di un museo, con orario differenziato per l’estate e per l’inverno. Visitarlo è un obbligo per la bellezza e la grazia di questo antico e piccolo spazio nato all'inizio del XVII sec..
Teatro Comandini
22 Corte del Volontariato
Cesena
Il teatro Ronci è ubicato a Morciano di Romagna nel cuore del paese. Il teatro è di proprietà privata fin dal 1902, anno in cui fu eretto per volere della Società locale dei palchettisti, che concesse all'amministrazione comunale il palco d'onore, in cambio del terreno per la costruzione. L'edificio presenta una facciata scandita da tre accessi e finestre centinate soprastanti intercalate da nicchie. All'interno propone una soluzione formale a ferro di cavallo, sobria ed elegante insieme, con tre ordini di logge sorrette da esili colonne - in ghisa nel primo e secondo ordine, alternate a colonne di legno nel terzo ordine - e palchi, separati da basse divisorie in mattoni. Un restauro recente ha restituito l'assetto architettonico e il decoro originali, pesantemente alterati nel tempo. All'interno, le capriate del soffitto e il graticciato del palcoscenico, entrambi in legno, sono stati consolidati e disinfestati. Infine sono stati rimossi i vecchi tamponamenti del loggione superiore, che hanno permesso l'accesso alla sala del ridotto e il ripristino dell'intero camminamento del corridoio. E' di data recente l'autorizzazione della Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Ravenna per poter procedere all'ampliamento della platea attraverso l'eliminazione del primo ordine di palchi, che risulta essere stato aggiunto pochi anni dopo la costruzione del teatro. Negli anni Novanta il teatro svolgeva attività proponendo concerti, spettacoli di prosa, operette.
Teatro Comunale
Piazza Papa Niccolò IV
Il teatro Ronci è ubicato a Morciano di Romagna nel cuore del paese. Il teatro è di proprietà privata fin dal 1902, anno in cui fu eretto per volere della Società locale dei palchettisti, che concesse all'amministrazione comunale il palco d'onore, in cambio del terreno per la costruzione. L'edificio presenta una facciata scandita da tre accessi e finestre centinate soprastanti intercalate da nicchie. All'interno propone una soluzione formale a ferro di cavallo, sobria ed elegante insieme, con tre ordini di logge sorrette da esili colonne - in ghisa nel primo e secondo ordine, alternate a colonne di legno nel terzo ordine - e palchi, separati da basse divisorie in mattoni. Un restauro recente ha restituito l'assetto architettonico e il decoro originali, pesantemente alterati nel tempo. All'interno, le capriate del soffitto e il graticciato del palcoscenico, entrambi in legno, sono stati consolidati e disinfestati. Infine sono stati rimossi i vecchi tamponamenti del loggione superiore, che hanno permesso l'accesso alla sala del ridotto e il ripristino dell'intero camminamento del corridoio. E' di data recente l'autorizzazione della Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Ravenna per poter procedere all'ampliamento della platea attraverso l'eliminazione del primo ordine di palchi, che risulta essere stato aggiunto pochi anni dopo la costruzione del teatro. Negli anni Novanta il teatro svolgeva attività proponendo concerti, spettacoli di prosa, operette.
A poco tempo dall’Unità d’Italia il sindaco di Conselice lamenta l’assenza di un luogo dedicato agli spettacoli per la cittadinanza. A questo scopo, sul finire del 1800, viene scelta una sala già utilizzata per la quarantena dei malati durante l’epidemia di colera che aveva colpito il “paese dei ranocchi” qualche anno prima. Nel 1910 la struttura subisce una prima sostanziale modifica a causa dell’utilizzo come cinematografo, per essere poi ridisegnata nel 1934, allungando la sala dalla parte del palcoscenico e costruendo le quattro barcacce laterali con la galleria. Due anni dopo, una lapide celebra il ritorno trionfale di Piero Menescaldi, un famoso tenore dell’epoca che aveva vissuto qui il suo debutto. L’intervento di recupero effettuato tra il 1984 e l’87 ha mantenuto la fisionomia complessiva, attenuando l’aspetto di sala da proiezioni, modificando la curva del palco di proscenio e ripristinando la buca per l’orchestra. L’attuale programmazione stagionale, affianca agli spettacoli di prosa con letture e presentazioni di libri.
Teatro Comunale Conselice
148 Via Selice
A poco tempo dall’Unità d’Italia il sindaco di Conselice lamenta l’assenza di un luogo dedicato agli spettacoli per la cittadinanza. A questo scopo, sul finire del 1800, viene scelta una sala già utilizzata per la quarantena dei malati durante l’epidemia di colera che aveva colpito il “paese dei ranocchi” qualche anno prima. Nel 1910 la struttura subisce una prima sostanziale modifica a causa dell’utilizzo come cinematografo, per essere poi ridisegnata nel 1934, allungando la sala dalla parte del palcoscenico e costruendo le quattro barcacce laterali con la galleria. Due anni dopo, una lapide celebra il ritorno trionfale di Piero Menescaldi, un famoso tenore dell’epoca che aveva vissuto qui il suo debutto. L’intervento di recupero effettuato tra il 1984 e l’87 ha mantenuto la fisionomia complessiva, attenuando l’aspetto di sala da proiezioni, modificando la curva del palco di proscenio e ripristinando la buca per l’orchestra. L’attuale programmazione stagionale, affianca agli spettacoli di prosa con letture e presentazioni di libri.
Il Teatro Comunale Alessandro Bonci si trova all'interno della cinta muraria del centro storico di Cesena su Piazza Guidazzi, di fianco ad esso si trovano i Giardini Pubblici. Fu inaugurato il 15 agosto del 1846, tre anni dopo l'inizio dei lavori. Subito si distinse per la rappresentazione delle migliori produzioni drammatiche e liriche, con la presenza di prestigiosi interpreti italiani del periodo. Il teatro fu dedicato al grande tenore cesenate Alessandro Bonci dopo le sue esibizioni nel 1904 e 1927.
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亞歷山卓·邦奇劇院
8 Piazza Mario Guidazzi
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Il Teatro Comunale Alessandro Bonci si trova all'interno della cinta muraria del centro storico di Cesena su Piazza Guidazzi, di fianco ad esso si trovano i Giardini Pubblici. Fu inaugurato il 15 agosto del 1846, tre anni dopo l'inizio dei lavori. Subito si distinse per la rappresentazione delle migliori produzioni drammatiche e liriche, con la presenza di prestigiosi interpreti italiani del periodo. Il teatro fu dedicato al grande tenore cesenate Alessandro Bonci dopo le sue esibizioni nel 1904 e 1927.
Il Teatro comunale è un’opera decorosissima situato nel centro di Cesenatico, la cui costruzione intrapresa nel 1863 e compiuta nel 1865. Fu inaugurato l’11/7/1865, come risulta dalla lapide posta nell'ingresso. Altre due lapidi ricordano Ermete Zacconi nelle serate dell'8 e del 10/8/1908 e i restauri del 1926.
Cesenatico Municipal Theater
10 Viale G. Mazzini
Il Teatro comunale è un’opera decorosissima situato nel centro di Cesenatico, la cui costruzione intrapresa nel 1863 e compiuta nel 1865. Fu inaugurato l’11/7/1865, come risulta dalla lapide posta nell'ingresso. Altre due lapidi ricordano Ermete Zacconi nelle serate dell'8 e del 10/8/1908 e i restauri del 1926.
Una prima sala teatrale autonoma viene costruita a Russi di Romagna tra il 1812 nel 1813, con i proventi ricavati dalla vendita degli effetti di casermaggio della Reale Gendarmeria comunale. In precedenza le rappresentazioni teatrali si tenevano in uno spazio inadatto e insufficientemente attrezzato: nel locale detto Scuola Vecchia, che confinava con la Chiesa arcipretale e la Casa della Compagnia di Carità . Nel 1811 si pensò di trasformare questa sede in teatro. Si suppone che l'inaugurazione sia avvenuta nel 1813 e dal 1836 si cominciarono a dare rappresentazioni anche per la fiera dell'Addolorata. Si davano soprattutto spettacoli di prosa: tragedie, commedie, farse e saltuari furono gli spettacoli musicali. Nel 1881 il Genio Civile dichiarò inservibile questo teatro. La costruzione di un nuovo teatro fu decretata nel 1883. L'inaugurazione avvenne il 24/9/1887 con il Rigoletto di Verdi. Con il nuovo teatro arrivarono così a Russi anche gli spettacoli lirici, praticamente mai documentati prima su questa piazza. Solo a partire dagli anni Venti le stagioni d'opera si susseguirono con una certa regolarità, il buon livello delle rappresentazioni date portò la fama di questo teatro fuori dell'ambito strettamente locale. A Russi operavano inoltre molte società di divertimento, spesso in gara tra loro, che organizzavano nel teatro feste da ballo ed anche veri e propri spettacoli. Dopo l'ascesa al potere del fascismo questa proliferazione di attività fu soffocata. Nel 1924 furono affrontati indispensabili lavori di restauro, poiché il tempo e l'umidità avevano condotto l'ambiente ad uno stato deplorevole. Nel secondo dopoguerra il teatro fu adattato a locale cinematografico fino al 1964. Dal 1969 il teatro è rimasto chiuso ed inutilizzato per ben trentadue anni. Nel 1995 è stato redatto un progetto di massima con l'intento di conservare inalterata, per quanto possibile, la tipologia e la dislocazione degli spazi, riportando la struttura alla conformazione originaria, storicamente documentata, ma adeguandola al tempo stesso alle esigenze dettate dalle normative di sicurezza, al fine di ottenerne la piena agibilità. A tal fine si è scelto di utilizzare l'ampio spazio posto sotto il palcoscenico, avendo cura di adottare opportuni espedienti al fine di non alterare in modo irreversibile l'acustica della sala teatrale. Il progetto esecutivo è stato redatto nel 1997 e il 7/4/2001 vi è stata l’inaugurazione.
Teatro Comunale di Russi
8 Via Camillo Benso Conte di Cavour
Una prima sala teatrale autonoma viene costruita a Russi di Romagna tra il 1812 nel 1813, con i proventi ricavati dalla vendita degli effetti di casermaggio della Reale Gendarmeria comunale. In precedenza le rappresentazioni teatrali si tenevano in uno spazio inadatto e insufficientemente attrezzato: nel locale detto Scuola Vecchia, che confinava con la Chiesa arcipretale e la Casa della Compagnia di Carità . Nel 1811 si pensò di trasformare questa sede in teatro. Si suppone che l'inaugurazione sia avvenuta nel 1813 e dal 1836 si cominciarono a dare rappresentazioni anche per la fiera dell'Addolorata. Si davano soprattutto spettacoli di prosa: tragedie, commedie, farse e saltuari furono gli spettacoli musicali. Nel 1881 il Genio Civile dichiarò inservibile questo teatro. La costruzione di un nuovo teatro fu decretata nel 1883. L'inaugurazione avvenne il 24/9/1887 con il Rigoletto di Verdi. Con il nuovo teatro arrivarono così a Russi anche gli spettacoli lirici, praticamente mai documentati prima su questa piazza. Solo a partire dagli anni Venti le stagioni d'opera si susseguirono con una certa regolarità, il buon livello delle rappresentazioni date portò la fama di questo teatro fuori dell'ambito strettamente locale. A Russi operavano inoltre molte società di divertimento, spesso in gara tra loro, che organizzavano nel teatro feste da ballo ed anche veri e propri spettacoli. Dopo l'ascesa al potere del fascismo questa proliferazione di attività fu soffocata. Nel 1924 furono affrontati indispensabili lavori di restauro, poiché il tempo e l'umidità avevano condotto l'ambiente ad uno stato deplorevole. Nel secondo dopoguerra il teatro fu adattato a locale cinematografico fino al 1964. Dal 1969 il teatro è rimasto chiuso ed inutilizzato per ben trentadue anni. Nel 1995 è stato redatto un progetto di massima con l'intento di conservare inalterata, per quanto possibile, la tipologia e la dislocazione degli spazi, riportando la struttura alla conformazione originaria, storicamente documentata, ma adeguandola al tempo stesso alle esigenze dettate dalle normative di sicurezza, al fine di ottenerne la piena agibilità. A tal fine si è scelto di utilizzare l'ampio spazio posto sotto il palcoscenico, avendo cura di adottare opportuni espedienti al fine di non alterare in modo irreversibile l'acustica della sala teatrale. Il progetto esecutivo è stato redatto nel 1997 e il 7/4/2001 vi è stata l’inaugurazione.
Il teatro comunale Ebe Stignani è il teatro più importante di Imola. Nel 1782 il teatro viene inaugurato, ma va a fuoco il 1/2/1797 durante l'invasione in città delle truppe francesi repubblicane. Nel 1810 viene soppressa la chiesa superiore di San Francesco, facente parte del convento francescano e si decide di ricavare, da una parte dell’immobile, un luogo per gli spettacoli. Nel 1812 a lavori ultimati, l'edificio prende il nome di «Teatro dei Signori associati» con l’inaugurazione del Il 4/8/1812. Nel 1815 con il ritorno di Imola sotto lo Stato della Chiesa, il pontefice Pio VII decide la chiusura dell'impianto per incompatibilità con il preesistente edificio religioso. Durante i moti rivoluzionari il governo provvisorio decreta la riapertura del teatro dopo 16 anni. Nel 1852 il teatro chiude per lavori di restauro e il 26/12/1855 il Teatro è inaugurato per essere poi richiuso nel 1931 poiché non risponde alle nuove norme di sicurezza. Nel 1944 il teatro rimane gravemente danneggiato dalle devastazioni effettuate nel periodo bellico. Solo nel 1970 cominciano i lavori di ricostruzione e il teatro viene riaperto il 18/4/1974, mantenendo la struttura e in parte le decorazioni eseguite a metà dell’Ottocento e verrà intitolato a Ebe Stignani. Dopo l’ultima stagione di attività del 2004-2005 il teatro viene nuovamente chiuso per restauri. La sera del 6/4/2010 il teatro è riaperto ufficialmente al pubblico dopo la fine dei restauri.
Teatro Ebe Stignani
1 Via Giuseppe Verdi
Il teatro comunale Ebe Stignani è il teatro più importante di Imola. Nel 1782 il teatro viene inaugurato, ma va a fuoco il 1/2/1797 durante l'invasione in città delle truppe francesi repubblicane. Nel 1810 viene soppressa la chiesa superiore di San Francesco, facente parte del convento francescano e si decide di ricavare, da una parte dell’immobile, un luogo per gli spettacoli. Nel 1812 a lavori ultimati, l'edificio prende il nome di «Teatro dei Signori associati» con l’inaugurazione del Il 4/8/1812. Nel 1815 con il ritorno di Imola sotto lo Stato della Chiesa, il pontefice Pio VII decide la chiusura dell'impianto per incompatibilità con il preesistente edificio religioso. Durante i moti rivoluzionari il governo provvisorio decreta la riapertura del teatro dopo 16 anni. Nel 1852 il teatro chiude per lavori di restauro e il 26/12/1855 il Teatro è inaugurato per essere poi richiuso nel 1931 poiché non risponde alle nuove norme di sicurezza. Nel 1944 il teatro rimane gravemente danneggiato dalle devastazioni effettuate nel periodo bellico. Solo nel 1970 cominciano i lavori di ricostruzione e il teatro viene riaperto il 18/4/1974, mantenendo la struttura e in parte le decorazioni eseguite a metà dell’Ottocento e verrà intitolato a Ebe Stignani. Dopo l’ultima stagione di attività del 2004-2005 il teatro viene nuovamente chiuso per restauri. La sera del 6/4/2010 il teatro è riaperto ufficialmente al pubblico dopo la fine dei restauri.
Il Teatro di Gambettola fu edificato nel 1913 contestualmente al Palazzo Comunale, di cui occupa quasi un'intera ala. La sala fu utilizzata fino al 1950 per piccoli spettacoli, concerti, recite teatrali e feste danzanti, A partire dagli anni 70 è caduto in disuso ed è stato utilizzato come deposito comunale, alterandone anche sensibilmente la struttura con la realizzazione di tramezzi in muratura. Solo dopo gli anni 2000 si è deciso di procedere al restauro e al recupero del Teatro. Finalmente il Teatro, restituito al suo antico splendore, è stato inaugurato a fine 2010. Poiché la ristrutturazione è stata appositamente progettata e realizzata per rendere il teatro completamente privo di barriere architettoniche, oggi lo stesso è in grado di ospitare attività legate al mondo delle “diverse abilità”, con progetti e spettacoli realizzati da compagnie integrate. Un motto in versi e varie decorazioni, risalenti all'anno di costruzione e anch'essi sapientemente restaurati, abbelliscono il soffitto e l'arcoscenico.
Teatro Comunale - La Baracca dei Talenti
6 Piazza 2' Risorgimento
Il Teatro di Gambettola fu edificato nel 1913 contestualmente al Palazzo Comunale, di cui occupa quasi un'intera ala. La sala fu utilizzata fino al 1950 per piccoli spettacoli, concerti, recite teatrali e feste danzanti, A partire dagli anni 70 è caduto in disuso ed è stato utilizzato come deposito comunale, alterandone anche sensibilmente la struttura con la realizzazione di tramezzi in muratura. Solo dopo gli anni 2000 si è deciso di procedere al restauro e al recupero del Teatro. Finalmente il Teatro, restituito al suo antico splendore, è stato inaugurato a fine 2010. Poiché la ristrutturazione è stata appositamente progettata e realizzata per rendere il teatro completamente privo di barriere architettoniche, oggi lo stesso è in grado di ospitare attività legate al mondo delle “diverse abilità”, con progetti e spettacoli realizzati da compagnie integrate. Un motto in versi e varie decorazioni, risalenti all'anno di costruzione e anch'essi sapientemente restaurati, abbelliscono il soffitto e l'arcoscenico.
Il Teatro Maria Pedrini è situato a Brisighella. La notizia del primo spettacolo risale al 29/9/1593. Si trovano nuovamente notizie certe di spettacoli alla fine del XVII sec.. La sede preferita era la sala del Palazzo Pubblico, "benignamente" concessa per gli allestimenti scenici di drammi e commedie. Si andò avanti così fino al 1824, quando venne decisa la demolizione del vecchio palazzo. La progettazione del nuovo teatro comunale fu approvata il 28/1/1829. Per ordine del priore Giulio Metalli l'edificazione fu portata avanti in segreto, al fine di sopire i "vani cicalecci" e le polemiche di chi avrebbe voluto utilizzare quello spazio per edificare una cappella. L'edificio fu praticamente terminato nel 1832, anche se nel 1835 vennero fatte ulteriori spese per il definitivo completamento. L'inaugurazione fu comunque decisa per il mese di settembre del 1832, in occasione della festa della Beata Vergine del Monticino. Nel nuovo teatro risplendente per le luminarie, gli uditori trassero gran diletto da queste rappresentazioni. Nel corso degli anni il teatro è stato più volte restaurato: una prima volta nell'immediato secondo dopoguerra, per rimediare ai danni causati dagli eventi bellici, ed infine negli anni 1960. Nel corso di quest'ultimo restauro è stato rifatto il tetto con conseguente perdita delle vecchie capriate lignee. Inoltre è stata ripristinata la volta, decorazione compresa. Pertanto quello che noi oggi vediamo è una riproposta classicheggiante. L'intervento ha inoltre modernizzato la pavimentazione della platea, mentre le uscite di sicurezza sono state risolte con due porte che immettono nel sottopalco. In passato l'attività in teatro è stata assai vivace ed intensa, mentre attualmente si tengono solo manifestazioni di carattere culturale, poiché l'intera struttura necessita degli opportuni interventi di messa a norma.
Teatro comunale
3 Via della Repubblica
Il Teatro Maria Pedrini è situato a Brisighella. La notizia del primo spettacolo risale al 29/9/1593. Si trovano nuovamente notizie certe di spettacoli alla fine del XVII sec.. La sede preferita era la sala del Palazzo Pubblico, "benignamente" concessa per gli allestimenti scenici di drammi e commedie. Si andò avanti così fino al 1824, quando venne decisa la demolizione del vecchio palazzo. La progettazione del nuovo teatro comunale fu approvata il 28/1/1829. Per ordine del priore Giulio Metalli l'edificazione fu portata avanti in segreto, al fine di sopire i "vani cicalecci" e le polemiche di chi avrebbe voluto utilizzare quello spazio per edificare una cappella. L'edificio fu praticamente terminato nel 1832, anche se nel 1835 vennero fatte ulteriori spese per il definitivo completamento. L'inaugurazione fu comunque decisa per il mese di settembre del 1832, in occasione della festa della Beata Vergine del Monticino. Nel nuovo teatro risplendente per le luminarie, gli uditori trassero gran diletto da queste rappresentazioni. Nel corso degli anni il teatro è stato più volte restaurato: una prima volta nell'immediato secondo dopoguerra, per rimediare ai danni causati dagli eventi bellici, ed infine negli anni 1960. Nel corso di quest'ultimo restauro è stato rifatto il tetto con conseguente perdita delle vecchie capriate lignee. Inoltre è stata ripristinata la volta, decorazione compresa. Pertanto quello che noi oggi vediamo è una riproposta classicheggiante. L'intervento ha inoltre modernizzato la pavimentazione della platea, mentre le uscite di sicurezza sono state risolte con due porte che immettono nel sottopalco. In passato l'attività in teatro è stata assai vivace ed intensa, mentre attualmente si tengono solo manifestazioni di carattere culturale, poiché l'intera struttura necessita degli opportuni interventi di messa a norma.
Teatro De André
Ravenna
Il Teatro Diego Fabbri di Forlì, ad oggi il teatro più importante della città romagnola, ha aperto i battenti nel settembre del 2000. Nel 1944 la torre civica, durante un bombordamento, rovinò sul Teatro Comunale, allora situato presso l'attuale Piazzetta della Misura, distruggendolo completamente. Da allora a tutt'oggi la città non dispone di un teatro all'italiana. Gli spettacoli di maggior rilievo furono dunque allestiti presso il cinema Astra, in corso Diaz, che poi cambiò nome in "Teatro Astra" e infine, dopo il restauro del 2000, in "Teatro Diego Fabbri", in onore del grande drammaturgo forlivese.
Teatro Diego Fabbri
47 Corso Armando Diaz
Il Teatro Diego Fabbri di Forlì, ad oggi il teatro più importante della città romagnola, ha aperto i battenti nel settembre del 2000. Nel 1944 la torre civica, durante un bombordamento, rovinò sul Teatro Comunale, allora situato presso l'attuale Piazzetta della Misura, distruggendolo completamente. Da allora a tutt'oggi la città non dispone di un teatro all'italiana. Gli spettacoli di maggior rilievo furono dunque allestiti presso il cinema Astra, in corso Diaz, che poi cambiò nome in "Teatro Astra" e infine, dopo il restauro del 2000, in "Teatro Diego Fabbri", in onore del grande drammaturgo forlivese.
San Piero in Bagno Dalla "Decima granducale" del 1765 conservata presso l'archivio storico di Firenze si ricava l'esistenza, in quella data, di un Teatro a San Piero "con palco per le recite e stanza di sotto et platea per udienze, con scenario e suoi resedi". Era di proprietà di un'accademia che, da un poemetto locale inedito del 1704, sappiamo chiamarsi "Accademia degli Ardenti". Da Stradari del 1785 presenti nell'archivio storico comunale di Bagno di Romagna sappiamo che il vecchio teatro era ubicato in via della Posta (attuale via del Teatro). Poco o nulla si sa dell'attività dell'Accademia degli Ardenti: dal poemetto inedito La Sampieraide di Girolamo Maria Volpini del 1704 si apprende solo che fu fondata da Agostino Fabbri che vi rappresentava le sue composizioni. Nel 1886 è registrato che il Teatro era di proprietà del Circolo Popolare Sampierano, che l'aveva recentemente restaurato "sia per ragioni d'estetica che per le guarentigie di stabilità e sicurezza". Un altro documento del 1897 ci informa come il "balcone o loggiato" fosse diviso "in due piani; il primo sorretto da 4 colonnette di pietra sulle quali posa l'intelaiatura del pavimento del loggiato" illuminato da due finestre. Nel marzo del 1900 la "Società di mutuo soccorso tra gli operai ed artigiani di San Piero acquistò il teatro dagli ultimi "accademici", tra cui la nobil signora Teresa Spighi Rivalta. I terremoti dell'Appennino forlivese del novembre 1918, che tanti danni fecero al paese, ridussero il teatro "alle sole mura, per miracolo in piedi". Nel 1923 la Cooperativa di Lavoro, nata da una costola della Società Operaia, ultimò i lavori e dopo tale ristrutturazione il teatrino (200 posti a sedere, buffet e guardaroba) decollò definitivamente. Dai primissimi anni 1930 diventò il cinematografo; nel 1953 il teatro venne ristrutturato nella forma attuale e funzionò fino alla sua definitiva chiusura. Lo stabile, rimasto a lungo abbandonato, fatiscente e pericolante, è stato donato dagli ultimi Soci della Società Operaia al Comune di Bagno di Romagna, che nel 1998 ne ha avviato il recupero. I lavori di restauro hanno consentito di restituire alla popolazione una sala, dotata di palcoscenico e con vani accessori, versatile e polivalente.
Teatro Garibaldi-Centro Congressi
1 Via del Teatro
San Piero in Bagno Dalla "Decima granducale" del 1765 conservata presso l'archivio storico di Firenze si ricava l'esistenza, in quella data, di un Teatro a San Piero "con palco per le recite e stanza di sotto et platea per udienze, con scenario e suoi resedi". Era di proprietà di un'accademia che, da un poemetto locale inedito del 1704, sappiamo chiamarsi "Accademia degli Ardenti". Da Stradari del 1785 presenti nell'archivio storico comunale di Bagno di Romagna sappiamo che il vecchio teatro era ubicato in via della Posta (attuale via del Teatro). Poco o nulla si sa dell'attività dell'Accademia degli Ardenti: dal poemetto inedito La Sampieraide di Girolamo Maria Volpini del 1704 si apprende solo che fu fondata da Agostino Fabbri che vi rappresentava le sue composizioni. Nel 1886 è registrato che il Teatro era di proprietà del Circolo Popolare Sampierano, che l'aveva recentemente restaurato "sia per ragioni d'estetica che per le guarentigie di stabilità e sicurezza". Un altro documento del 1897 ci informa come il "balcone o loggiato" fosse diviso "in due piani; il primo sorretto da 4 colonnette di pietra sulle quali posa l'intelaiatura del pavimento del loggiato" illuminato da due finestre. Nel marzo del 1900 la "Società di mutuo soccorso tra gli operai ed artigiani di San Piero acquistò il teatro dagli ultimi "accademici", tra cui la nobil signora Teresa Spighi Rivalta. I terremoti dell'Appennino forlivese del novembre 1918, che tanti danni fecero al paese, ridussero il teatro "alle sole mura, per miracolo in piedi". Nel 1923 la Cooperativa di Lavoro, nata da una costola della Società Operaia, ultimò i lavori e dopo tale ristrutturazione il teatrino (200 posti a sedere, buffet e guardaroba) decollò definitivamente. Dai primissimi anni 1930 diventò il cinematografo; nel 1953 il teatro venne ristrutturato nella forma attuale e funzionò fino alla sua definitiva chiusura. Lo stabile, rimasto a lungo abbandonato, fatiscente e pericolante, è stato donato dagli ultimi Soci della Società Operaia al Comune di Bagno di Romagna, che nel 1998 ne ha avviato il recupero. I lavori di restauro hanno consentito di restituire alla popolazione una sala, dotata di palcoscenico e con vani accessori, versatile e polivalente.
Il Teatro Gian Andrea Dragoni è un teatro situato a Meldola. Risale al XVII sec. l'origine del teatro. Secondo alcune fonti il primo teatro era in origine ubicato nella Rocca e in seguito nell'edificio chiamato "Racchetta o Pallacorda", tuttora esistente, dove veniva praticato appunto il gioco della pallacorda. Nella seconda metà del Settecento i "cittadini giovani" di Meldola chiedevano al cardinal legato, Principe Paolo Aldobrandini, di accordare in enfiteusi la "Racchetta" alla Comunità, non esistendo altro luogo adatto per rappresentazioni teatrali. L'esigenza di reperire un locale nuovo per le rappresentazioni portò alla costruzione del teatro che iniziò nel 1827 e terminò tra la fine del 1836 e gli inizi del 1837. Si ha notizia del primo spettacolo presentato il 12/2/1838. Il periodo risorgimentale, particolarmente vivace e denso di avvenimenti, fece del teatro anche una sede di manifestazioni patriottiche. Dopo oltre vent'anni dall'apertura le condizioni generali di alcune strutture interne all'edificio teatrale richiedevano interventi improrogabili che furono ultimati nel 1877. Da questo momento furono messe in scena rappresentazioni di alto livello qualitativo, sia di prosa che di lirica. Questi successi portarono a dotare l'intera struttura di luce elettrica: infatti si ha notizia che nel 1902, in occasione di un veglione di beneficenza, il teatro era illuminato. Tra il 1929 e il 1931 il teatro rimase chiuso per inagibilità. Ancora per alcuni anni la struttura venne utilizzata in prevalenza come cinematografo, al quale venivano alternati spettacoli di prosa, opere liriche e operette. Nel 1954 venne revocata l'agibilità che pose fine a quell'intenso fervore artistico che aveva caratterizzato il teatro romagnolo e solo nel 1978 furono avviati i lavori di recupero. Causa il generale degrado esterno ed interno, operazioni di consolidamento, di pulitura e, in alcuni casi, di rifacimento dei decori mancanti con l'utilizzo degli spolveri di quelli esistenti sono state eseguite sotto il diretto controllo della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Ravenna. Sono state inoltre recuperate e utilizzate le lampade con braccio in ottone degli inizi del '900, posizionate tra palco e palco. Oggi il teatro svolge regolare attività.
Teatro Gian Andrea Dragoni
5 Via XXIV Maggio
Il Teatro Gian Andrea Dragoni è un teatro situato a Meldola. Risale al XVII sec. l'origine del teatro. Secondo alcune fonti il primo teatro era in origine ubicato nella Rocca e in seguito nell'edificio chiamato "Racchetta o Pallacorda", tuttora esistente, dove veniva praticato appunto il gioco della pallacorda. Nella seconda metà del Settecento i "cittadini giovani" di Meldola chiedevano al cardinal legato, Principe Paolo Aldobrandini, di accordare in enfiteusi la "Racchetta" alla Comunità, non esistendo altro luogo adatto per rappresentazioni teatrali. L'esigenza di reperire un locale nuovo per le rappresentazioni portò alla costruzione del teatro che iniziò nel 1827 e terminò tra la fine del 1836 e gli inizi del 1837. Si ha notizia del primo spettacolo presentato il 12/2/1838. Il periodo risorgimentale, particolarmente vivace e denso di avvenimenti, fece del teatro anche una sede di manifestazioni patriottiche. Dopo oltre vent'anni dall'apertura le condizioni generali di alcune strutture interne all'edificio teatrale richiedevano interventi improrogabili che furono ultimati nel 1877. Da questo momento furono messe in scena rappresentazioni di alto livello qualitativo, sia di prosa che di lirica. Questi successi portarono a dotare l'intera struttura di luce elettrica: infatti si ha notizia che nel 1902, in occasione di un veglione di beneficenza, il teatro era illuminato. Tra il 1929 e il 1931 il teatro rimase chiuso per inagibilità. Ancora per alcuni anni la struttura venne utilizzata in prevalenza come cinematografo, al quale venivano alternati spettacoli di prosa, opere liriche e operette. Nel 1954 venne revocata l'agibilità che pose fine a quell'intenso fervore artistico che aveva caratterizzato il teatro romagnolo e solo nel 1978 furono avviati i lavori di recupero. Causa il generale degrado esterno ed interno, operazioni di consolidamento, di pulitura e, in alcuni casi, di rifacimento dei decori mancanti con l'utilizzo degli spolveri di quelli esistenti sono state eseguite sotto il diretto controllo della Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Ravenna. Sono state inoltre recuperate e utilizzate le lampade con braccio in ottone degli inizi del '900, posizionate tra palco e palco. Oggi il teatro svolge regolare attività.
Il Teatro Lorenzo Golfarelli è un teatro situato a Civitella di Romagna. La sala teatrale di Civitella venne costruita, a spese di Lorenzo Golfarelli, dal 1819 al 1824. Venne inaugurato nel 1825 e dedicato a Napoleone Bonaparte per la presa di Mosca. Il 5/3/1970 il teatro fu fortemente danneggiato da un incendio, che causò il crollo del soffitto. In seguito è stato restaurato con criteri che ne hanno stravolto la tipologia originaria. Da lungo tempo il teatro, di proprietà privata, non svolse più la sua funzione originaria.
Teatro Golfarelli
34 Via Giuseppe Garibaldi
Il Teatro Lorenzo Golfarelli è un teatro situato a Civitella di Romagna. La sala teatrale di Civitella venne costruita, a spese di Lorenzo Golfarelli, dal 1819 al 1824. Venne inaugurato nel 1825 e dedicato a Napoleone Bonaparte per la presa di Mosca. Il 5/3/1970 il teatro fu fortemente danneggiato da un incendio, che causò il crollo del soffitto. In seguito è stato restaurato con criteri che ne hanno stravolto la tipologia originaria. Da lungo tempo il teatro, di proprietà privata, non svolse più la sua funzione originaria.
Teatro Il Piccolo
via Antonio de Nobili
Forlì
teatro jolly
3 Via Canonico Lugaresi
Cesena
Il Teatro Comunale Malatesta si trova nel centro storico di Montefiore Conca con l’ingresso posto di fianco alla porta di accesso al borgo era già citato nel censimento del 1868. Si tratta di un piccolo teatro dalle caratteristiche architettoniche tipiche dell’800. Dichiarato inagibile nel 1984, il teatro è stato sottoposto ad interventi di restauro globale. I lavori sono ormai al termine e l'inaugurazione imminente. L'intenzione è di adibirlo ad attività non circoscritte all'ambito propriamente locale.
Teatro Malatesta
4 Via della Repubblica
Il Teatro Comunale Malatesta si trova nel centro storico di Montefiore Conca con l’ingresso posto di fianco alla porta di accesso al borgo era già citato nel censimento del 1868. Si tratta di un piccolo teatro dalle caratteristiche architettoniche tipiche dell’800. Dichiarato inagibile nel 1984, il teatro è stato sottoposto ad interventi di restauro globale. I lavori sono ormai al termine e l'inaugurazione imminente. L'intenzione è di adibirlo ad attività non circoscritte all'ambito propriamente locale.
Il teatro comunale Angelo Masini è un teatro di Faenza ed è un capolavoro dell'architettura neoclassica. Nella seconda metà del XVIII sec. le rappresentazioni teatrali si tenevano in una sala del quattrocentesco Palazzo del podestà. Essendo ormai andata in rovina la struttura lignea adibita a teatro, si decise la costruzione di un nuovo edificio. Nel 1780 ebbe così inizio la costruzione del nuovo Teatro che venne inaugurato nel 1788. Nel 1826 venne ripulito e restaurato e successivamente subì un nuovo restauro. Dal 1903 è intitolato al celebre tenore Angelo Masini. Negli anni 1984-1990 il Teatro è rimasto chiuso per lavori di ristrutturazione (tra cui l'adeguamento della sala alle normative in materia di sicurezza) che lo hanno riportato all'aspetto originario. Galleria dei Cento Pacifici Il vicino Palazzo Manfredi è collegato al teatro tramite la celebre Galleria dei Cento Pacifici, annessa al Ridotto.
Teatro Masini
3 Piazza Nenni
Il teatro comunale Angelo Masini è un teatro di Faenza ed è un capolavoro dell'architettura neoclassica. Nella seconda metà del XVIII sec. le rappresentazioni teatrali si tenevano in una sala del quattrocentesco Palazzo del podestà. Essendo ormai andata in rovina la struttura lignea adibita a teatro, si decise la costruzione di un nuovo edificio. Nel 1780 ebbe così inizio la costruzione del nuovo Teatro che venne inaugurato nel 1788. Nel 1826 venne ripulito e restaurato e successivamente subì un nuovo restauro. Dal 1903 è intitolato al celebre tenore Angelo Masini. Negli anni 1984-1990 il Teatro è rimasto chiuso per lavori di ristrutturazione (tra cui l'adeguamento della sala alle normative in materia di sicurezza) che lo hanno riportato all'aspetto originario. Galleria dei Cento Pacifici Il vicino Palazzo Manfredi è collegato al teatro tramite la celebre Galleria dei Cento Pacifici, annessa al Ridotto.
San Giovanni in Marignano Il teatro di San Giovanni in Marignano è tra i più antichi della Romagna, dopo quelli di Lugo e Faenza. Costruito nel XVII secolo come edificio religioso, viene destinato alla sua attuale funzione nel 1821, quando la Filodrammatica locale lo affitta per rappresentazioni e spettacoli di vario genere, trasformando l’altare in palcoscenico. Storicamente erano tre le stagioni principali: quella di Carnevale, molto sentita a San Giovanni, quella estiva, con spettacoli di marionette, e quella autunnale, in cui intervenivano anche compagnie forestiere. La nascita ufficiale del Teatro Condomini, nome originario, è del 1855, terminati i lavori di restauro. L’inaugurazione avvenne il giorno di capodanno del 1856, e la prima stagione di recite fu quella del carnevale del 1857. Dopo l’intensa attività artistica registrata negli anni compresi tra la fine dell’Ottocento e la prima decade del Novecento, l’attività fu sospesa, fino alla definitiva decadenza durante la Seconda guerra mondiale. Dopo vari restauri, la sala si presenta oggi con la tipica pianta a U e due ordini di palchetti, il primo intervallato da colonnine, il secondo da pilastrini sormontati da capitelli. Dal 1982 è dedicato ad Augusto Massari, direttore e concertista nato a San Giovanni in Marignano, noto per aver realizzato l’inno della Repubblica di San Marino.
Teatro Massari
6 Via Serpieri
San Giovanni in Marignano Il teatro di San Giovanni in Marignano è tra i più antichi della Romagna, dopo quelli di Lugo e Faenza. Costruito nel XVII secolo come edificio religioso, viene destinato alla sua attuale funzione nel 1821, quando la Filodrammatica locale lo affitta per rappresentazioni e spettacoli di vario genere, trasformando l’altare in palcoscenico. Storicamente erano tre le stagioni principali: quella di Carnevale, molto sentita a San Giovanni, quella estiva, con spettacoli di marionette, e quella autunnale, in cui intervenivano anche compagnie forestiere. La nascita ufficiale del Teatro Condomini, nome originario, è del 1855, terminati i lavori di restauro. L’inaugurazione avvenne il giorno di capodanno del 1856, e la prima stagione di recite fu quella del carnevale del 1857. Dopo l’intensa attività artistica registrata negli anni compresi tra la fine dell’Ottocento e la prima decade del Novecento, l’attività fu sospesa, fino alla definitiva decadenza durante la Seconda guerra mondiale. Dopo vari restauri, la sala si presenta oggi con la tipica pianta a U e due ordini di palchetti, il primo intervallato da colonnine, il secondo da pilastrini sormontati da capitelli. Dal 1982 è dedicato ad Augusto Massari, direttore e concertista nato a San Giovanni in Marignano, noto per aver realizzato l’inno della Repubblica di San Marino.
Il Teatro Errico Petrella è un teatro ottocentesco del comune di Longiano. Seppure fosse già presente un teatro sulla piazza dei Cappuccini (oggi piazza Malatestiana). Nel 1850 si propose come nuova sede del futuro teatro l'ex convento di San Girolamo, ma bisognò attendere il 1860 perché venissero superate le diffidenze per il progetto, apparentemente dispendioso. L'edificio venne iniziato nel 1864 con grandi sacrifici economici da parte del comune e inaugurato con l'opera I Promessi Sposi di Errico Petrella, compositore a cui venne dedicato il teatro. Successivamente parte dell'edificio venne usato per altri scopi, pregiudicando la conservazione della struttura. Venne restaurato tra il 1980 e il 1986 per volere dell'Amministrazione comunale.
Teatro Errico Petrella
3 Piazza S. Girolamo
Il Teatro Errico Petrella è un teatro ottocentesco del comune di Longiano. Seppure fosse già presente un teatro sulla piazza dei Cappuccini (oggi piazza Malatestiana). Nel 1850 si propose come nuova sede del futuro teatro l'ex convento di San Girolamo, ma bisognò attendere il 1860 perché venissero superate le diffidenze per il progetto, apparentemente dispendioso. L'edificio venne iniziato nel 1864 con grandi sacrifici economici da parte del comune e inaugurato con l'opera I Promessi Sposi di Errico Petrella, compositore a cui venne dedicato il teatro. Successivamente parte dell'edificio venne usato per altri scopi, pregiudicando la conservazione della struttura. Venne restaurato tra il 1980 e il 1986 per volere dell'Amministrazione comunale.
Il teatro Luigi Rasi è un piccolo teatro di prosa che si trova nel centro di Ravenna. Costruito nell’ultimo decennio dell’Ottocento nell’ex chiesa monastica di Santa Chiara, dal 1991 il Rasi è sede di Ravenna Teatro, centro di produzione teatrale fondato dalle compagnie teatrali Teatro delle Albe e Drammatico Vegetale. Le origini dell'edificio risalgono al 1250, quando una comunità di Clarisse, tra cui Chiara da Polenta, vi fondò un monastero e una chiesa. Le volte dell’abside erano decorate con pregiatissimi affreschi di scuola riminese, staccati attorno al 1950 e ora conservati ed esposti al Museo Nazionale della città. Della chiesa di Santa Chiara rimangono la facciata, oggi ingresso del teatro e l’abside, inserito nell’area scenica. Con l'editto napoleonico del 1805 la chiesa viene soppressa. Nel 1823 chiesa e convento furono ceduti a un privato, il barone Pergami della Franchina, che utilizzò gli spazi per spettacoli equestri. Nel 1879 l'ex convento fu adibito a caserma. Invece la chiesa fu ceduta dal barone al Comune di Ravenna nel 1874. Il Comune concesse l'edificio all’Accademia Filodrammatica che lo convertì in sala teatrale. Nel 1919 il teatro è intitolato al celebre attore e drammaturgo ravennate, Luigi Rasi. Ospita musica da camera e spettacoli di operetta messi in scena da compagnie locali fino al 1959, quando verrà chiuso per lavori di restauro. Riapre nel 1979 con l'aspetto attuale. Al Teatro Rasi si svolge una grande parte delle programmazioni curate da Ravenna Teatro, che lo gestisce dal 1991 e vi nascono le produzioni del Teatro delle Albe e della Drammatico Vegetale.
Teatro Rasi
Il teatro Luigi Rasi è un piccolo teatro di prosa che si trova nel centro di Ravenna. Costruito nell’ultimo decennio dell’Ottocento nell’ex chiesa monastica di Santa Chiara, dal 1991 il Rasi è sede di Ravenna Teatro, centro di produzione teatrale fondato dalle compagnie teatrali Teatro delle Albe e Drammatico Vegetale. Le origini dell'edificio risalgono al 1250, quando una comunità di Clarisse, tra cui Chiara da Polenta, vi fondò un monastero e una chiesa. Le volte dell’abside erano decorate con pregiatissimi affreschi di scuola riminese, staccati attorno al 1950 e ora conservati ed esposti al Museo Nazionale della città. Della chiesa di Santa Chiara rimangono la facciata, oggi ingresso del teatro e l’abside, inserito nell’area scenica. Con l'editto napoleonico del 1805 la chiesa viene soppressa. Nel 1823 chiesa e convento furono ceduti a un privato, il barone Pergami della Franchina, che utilizzò gli spazi per spettacoli equestri. Nel 1879 l'ex convento fu adibito a caserma. Invece la chiesa fu ceduta dal barone al Comune di Ravenna nel 1874. Il Comune concesse l'edificio all’Accademia Filodrammatica che lo convertì in sala teatrale. Nel 1919 il teatro è intitolato al celebre attore e drammaturgo ravennate, Luigi Rasi. Ospita musica da camera e spettacoli di operetta messi in scena da compagnie locali fino al 1959, quando verrà chiuso per lavori di restauro. Riapre nel 1979 con l'aspetto attuale. Al Teatro Rasi si svolge una grande parte delle programmazioni curate da Ravenna Teatro, che lo gestisce dal 1991 e vi nascono le produzioni del Teatro delle Albe e della Drammatico Vegetale.
Montescudo E’ datato genericamente dagli storici all’inizio del 1800, ma già alla fine del 1700, precisamente nel 1780, nelle lettere inviate dal Cardinale Legato al Governatore di Montescudo, si parla di uno spazio utilizzato per le rappresentazioni teatrali. Ha la tipica struttura dei teatri all’italiana dell’epoca, con forma a ferro di cavallo, platea, un ordine di sette palchetti e il loggione. Il primo documento ufficiale in cui si trova la sala di Montescudo è il censimento dei teatri del 1868. E’ intitolato a Francesco Rosaspina al quale il paese ha dato i natali. Rosaspina è infatti nato a Montescudo nel 1762 e, trasferitosi con la famiglia a Bologna, divenne uno dei più celebri e richiesti incisori della sua epoca. Primo titolare della cattedra di incisione dell’Università delle Belle Arti bolognese, ha tradotto in incisioni centinaia di opere, le più importanti dal ‘500 all’800 tra cui il Parmigianino e il Correggio e tutti i maggiori pittori del ‘600, contribuendo alla conoscenza dell’arte italiana anche in Europa. In Municipio sono conservate due celebri opere, che l’artista all’apice della carriera, inviò in dono al suo paese natale nella quale tornò per una estate in compagnia del suo allievo prediletto. Da qualche anno la programmazione del teatro, storicamente orientata alla promozione delle commedie dialettali, si è arricchita di un cartellone di prosa, musica e danza, aperto alle giovani compagnie che operano sul territorio romagnolo.
Teatro Rosaspina
1 Piazza del Municipio
Montescudo E’ datato genericamente dagli storici all’inizio del 1800, ma già alla fine del 1700, precisamente nel 1780, nelle lettere inviate dal Cardinale Legato al Governatore di Montescudo, si parla di uno spazio utilizzato per le rappresentazioni teatrali. Ha la tipica struttura dei teatri all’italiana dell’epoca, con forma a ferro di cavallo, platea, un ordine di sette palchetti e il loggione. Il primo documento ufficiale in cui si trova la sala di Montescudo è il censimento dei teatri del 1868. E’ intitolato a Francesco Rosaspina al quale il paese ha dato i natali. Rosaspina è infatti nato a Montescudo nel 1762 e, trasferitosi con la famiglia a Bologna, divenne uno dei più celebri e richiesti incisori della sua epoca. Primo titolare della cattedra di incisione dell’Università delle Belle Arti bolognese, ha tradotto in incisioni centinaia di opere, le più importanti dal ‘500 all’800 tra cui il Parmigianino e il Correggio e tutti i maggiori pittori del ‘600, contribuendo alla conoscenza dell’arte italiana anche in Europa. In Municipio sono conservate due celebri opere, che l’artista all’apice della carriera, inviò in dono al suo paese natale nella quale tornò per una estate in compagnia del suo allievo prediletto. Da qualche anno la programmazione del teatro, storicamente orientata alla promozione delle commedie dialettali, si è arricchita di un cartellone di prosa, musica e danza, aperto alle giovani compagnie che operano sul territorio romagnolo.
Il Teatro Rossini è il teatro cittadino di Lugo. È il più antico teatro comunale dell'Emilia-Romagna tra quelli tuttora esistenti. Ospita il Lugo Opera Festival ed è un teatro di produzione: esso, infatti, produce spettacoli di opera lirica. Nel 1757 si delibera la costruzione del teatro e nel mese di luglio del 1758 cominciano i lavori di costruzione e due anni dopo vengono affidati al celebre architetto e scenografo Antonio Galli, detto il Bibbiena, che porta a termine la costruzione e dipinge di sua mano l'interno. Nel 1761 durante la Fiera annuale ha luogo l'inaugurazione. Nel 1813 si esibisce in teatro il celebre violinista Niccolò Paganini l’anno successivo viene rappresentata per la prima volta un'opera del giovane Gioachino Rossini. Nel 1819 viene cambiata la curva dei palchi, che dal profilo a campana assume l'attuale forma a ferro di cavallo Giuseppe Mazzini nel 1849 tiene un discorso come deputato di Lugo all'Assemblea Costituente della Repubblica Romana. Il 21/2/1859 il teatro viene intitolato al vivente Gioachino Rossini, compositore di fama mondiale, che da giovane aveva studiato musica a Lugo. A seguito delle elezioni politiche il 19/11/1876 il poeta Giosuè Carducci, eletto nel Collegio di Lugo, tiene un discorso di ringraziamento agli elettori. Il primo impianto (provvisorio) di luce elettrica viene montato nel 1895 e diventerà stabile a partire dal 1910. Il 22/11/1896 viene proiettato il primo cortometraggio e dal 1920 viene adibito a sala cinematografica. Durante gli anni 1944-45 viene gravemente danneggiato dai bombardamenti e solo nel 1983 verrà approvato il progetto di ristrutturazione che iniziano l’anno successivo. Dopo circa due anni il teatro riapre. Nel 2010 si è scoperto che Gioachino Rossini suonò nel teatro che oggi porta il suo nome: avvenne nell'agosto-settembre 1806. Rossini, all'epoca adolescente, fu impiegato al cembalo (mentre il padre Giuseppe suonò il corno da caccia) nell'opera lirica La nobiltà delusa.
Teatro Rossini
17 Piazza Cavour
Il Teatro Rossini è il teatro cittadino di Lugo. È il più antico teatro comunale dell'Emilia-Romagna tra quelli tuttora esistenti. Ospita il Lugo Opera Festival ed è un teatro di produzione: esso, infatti, produce spettacoli di opera lirica. Nel 1757 si delibera la costruzione del teatro e nel mese di luglio del 1758 cominciano i lavori di costruzione e due anni dopo vengono affidati al celebre architetto e scenografo Antonio Galli, detto il Bibbiena, che porta a termine la costruzione e dipinge di sua mano l'interno. Nel 1761 durante la Fiera annuale ha luogo l'inaugurazione. Nel 1813 si esibisce in teatro il celebre violinista Niccolò Paganini l’anno successivo viene rappresentata per la prima volta un'opera del giovane Gioachino Rossini. Nel 1819 viene cambiata la curva dei palchi, che dal profilo a campana assume l'attuale forma a ferro di cavallo Giuseppe Mazzini nel 1849 tiene un discorso come deputato di Lugo all'Assemblea Costituente della Repubblica Romana. Il 21/2/1859 il teatro viene intitolato al vivente Gioachino Rossini, compositore di fama mondiale, che da giovane aveva studiato musica a Lugo. A seguito delle elezioni politiche il 19/11/1876 il poeta Giosuè Carducci, eletto nel Collegio di Lugo, tiene un discorso di ringraziamento agli elettori. Il primo impianto (provvisorio) di luce elettrica viene montato nel 1895 e diventerà stabile a partire dal 1910. Il 22/11/1896 viene proiettato il primo cortometraggio e dal 1920 viene adibito a sala cinematografica. Durante gli anni 1944-45 viene gravemente danneggiato dai bombardamenti e solo nel 1983 verrà approvato il progetto di ristrutturazione che iniziano l’anno successivo. Dopo circa due anni il teatro riapre. Nel 2010 si è scoperto che Gioachino Rossini suonò nel teatro che oggi porta il suo nome: avvenne nell'agosto-settembre 1806. Rossini, all'epoca adolescente, fu impiegato al cembalo (mentre il padre Giuseppe suonò il corno da caccia) nell'opera lirica La nobiltà delusa.
Progettato intorno al 1920 il Teatro Sociale di Novafeltria deve il suo nome al fatto che, a quell’epoca, la sua proprietà era riconosciuta alla “Società del Carnevale”. L’esterno offre allo sguardo cinque finestre con cornici liberty che si aprono al piano superiore, sovrastate da un fastigio a pinnacoli con una grande lira al centro. L’interno, contraddistinto da elementi stilistici di gusto tardo liberty e art déco, presenta un’elegante sala teatrale a ferro di cavallo, tre ordini di balconate e una “piccionaia”. L’inaugurazione risale al 3/10/1925, con la messa in scena della “Bohème” di Giacomo Puccini. Attualmente propone una regolare stagione con spettacoli di prosa, musica ed eventi culturali. La gestione è affidata all’associazione culturale “L’Arboreto”, che nella sua programmazione, rivolta soprattutto alle arti sceniche contemporanee, include anche residenze per artisti.
Teatro Sociale di Novafeltria
69 Via Giuseppe Mazzini
Progettato intorno al 1920 il Teatro Sociale di Novafeltria deve il suo nome al fatto che, a quell’epoca, la sua proprietà era riconosciuta alla “Società del Carnevale”. L’esterno offre allo sguardo cinque finestre con cornici liberty che si aprono al piano superiore, sovrastate da un fastigio a pinnacoli con una grande lira al centro. L’interno, contraddistinto da elementi stilistici di gusto tardo liberty e art déco, presenta un’elegante sala teatrale a ferro di cavallo, tre ordini di balconate e una “piccionaia”. L’inaugurazione risale al 3/10/1925, con la messa in scena della “Bohème” di Giacomo Puccini. Attualmente propone una regolare stagione con spettacoli di prosa, musica ed eventi culturali. La gestione è affidata all’associazione culturale “L’Arboreto”, che nella sua programmazione, rivolta soprattutto alle arti sceniche contemporanee, include anche residenze per artisti.
Piangipane frazione di Ravenna
Teatro Socjale Piangipane
153 Via Piangipane
Piangipane frazione di Ravenna
Teatro Testori
13 Via Amerigo Vespucci
Forlì
Il Teatro Giuseppe Verdi è un teatro situato a Cesena. L'origine dell'attuale Teatro Verdi risale al 1874, quando venne eretta l'Arena Giardino, in prossimità della vecchia murata di Cesena, dove è realizzato anche il giardino pubblico della città. In un secondo tempo l'arena fu modificata assumendo l'aspetto di un elegante teatro, che conserva la denominazione 'Giardino'. Vi si svolsero abitualmente spettacoli di vario genere, prosa, operetta, lirica ed esibizioni ginniche; nel dicembre 1896 fu organizzata la prima proiezione cinematografica cesenate e, dopo un periodo di disinteresse per questa invenzione, dal 1904 gli spettacoli cinematografici occuparono con regolarità la programmazione di questo luogo, interrotta nell'aprile 1907, quando un incendio danneggiò notevolmente il teatro che sarà ricostruito in breve tempo. Dal 1919 assunse la denominazione di Teatro Giuseppe Verdi, che tuttora conserva. Continuarono ad alternarvisi spettacoli di varietà, operette, veglioni di carnevale e spettacoli cinematografici. Nel 1975 fu oggetto di un complessivo intervento di risistemazione che, pur non modificandone radicalmente la struttura, introdusse una sorta di mascheramento dell'aspetto originario. L'ultima stagione teatrale si svolse nel 1977-78, poi questo spazio fu destinato esclusivamente alle proiezioni cinematografiche. Fino all'attualità, quando un radicale intervento ne ha ridefinito aspetto e funzioni. Il carattere di spazio polivalente, destinato fin dalla sua origine ad ospitare le più svariate forme di spettacolo, è stato integralmente recuperato e reinterpretato in chiave attuale. Intento principale è stato quello di togliere quanto negli anni era stato sovrapposto alla struttura originaria; attraverso un'operazione filologica estremamente rispettosa che, eliminando le innumerevoli superfetazioni e facendone riemergere l'ossatura, ha riproposto l'architettura della sala nella sua essenza grafica. Della funzione di cinematografo sono state conservate solo alcune 'memorie', quale la scala di accesso alla cabina di proiezione (che è stata eliminata), nonché la 'bocca di proiezione'. La platea in cemento è stata sostituita con un opportuno assito ligneo, mentre la rimozione dello schermo cinematografico ha riportato alla luce l'originale palcoscenico, rivelatosi di notevoli proporzioni, completo di argano e graticcio ligneo d'epoca. Il ripristino del lucernaio centrale, reso possibile entro l'antico perimetro, consente di inondare di luce zenitale la sala, permettendone una vivibilità diurna.
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Teatro Verdi
13 Via Luigi Sostegni
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Il Teatro Giuseppe Verdi è un teatro situato a Cesena. L'origine dell'attuale Teatro Verdi risale al 1874, quando venne eretta l'Arena Giardino, in prossimità della vecchia murata di Cesena, dove è realizzato anche il giardino pubblico della città. In un secondo tempo l'arena fu modificata assumendo l'aspetto di un elegante teatro, che conserva la denominazione 'Giardino'. Vi si svolsero abitualmente spettacoli di vario genere, prosa, operetta, lirica ed esibizioni ginniche; nel dicembre 1896 fu organizzata la prima proiezione cinematografica cesenate e, dopo un periodo di disinteresse per questa invenzione, dal 1904 gli spettacoli cinematografici occuparono con regolarità la programmazione di questo luogo, interrotta nell'aprile 1907, quando un incendio danneggiò notevolmente il teatro che sarà ricostruito in breve tempo. Dal 1919 assunse la denominazione di Teatro Giuseppe Verdi, che tuttora conserva. Continuarono ad alternarvisi spettacoli di varietà, operette, veglioni di carnevale e spettacoli cinematografici. Nel 1975 fu oggetto di un complessivo intervento di risistemazione che, pur non modificandone radicalmente la struttura, introdusse una sorta di mascheramento dell'aspetto originario. L'ultima stagione teatrale si svolse nel 1977-78, poi questo spazio fu destinato esclusivamente alle proiezioni cinematografiche. Fino all'attualità, quando un radicale intervento ne ha ridefinito aspetto e funzioni. Il carattere di spazio polivalente, destinato fin dalla sua origine ad ospitare le più svariate forme di spettacolo, è stato integralmente recuperato e reinterpretato in chiave attuale. Intento principale è stato quello di togliere quanto negli anni era stato sovrapposto alla struttura originaria; attraverso un'operazione filologica estremamente rispettosa che, eliminando le innumerevoli superfetazioni e facendone riemergere l'ossatura, ha riproposto l'architettura della sala nella sua essenza grafica. Della funzione di cinematografo sono state conservate solo alcune 'memorie', quale la scala di accesso alla cabina di proiezione (che è stata eliminata), nonché la 'bocca di proiezione'. La platea in cemento è stata sostituita con un opportuno assito ligneo, mentre la rimozione dello schermo cinematografico ha riportato alla luce l'originale palcoscenico, rivelatosi di notevoli proporzioni, completo di argano e graticcio ligneo d'epoca. Il ripristino del lucernaio centrale, reso possibile entro l'antico perimetro, consente di inondare di luce zenitale la sala, permettendone una vivibilità diurna.